lunedì 30 dicembre 2013

Happy New Year!!!

Questo è il personalissimo Augurio di Voglie Letterarie per voi tutti. Che abbiate il coraggio e la voglia di vivere a pieno e assaporare ciò che di bello passa di qua, perché le cose ti capitano, così all'improvviso capita che abbiate il culo che passino dalla vostra vita e afferrarle e perderle è un attimo. Il tempo fugge via tiranno e non torna indietro. Il vecchio anno sta licenziandosi per lasciare spazio al nuovo, a tutto il nuovo che passerà di qua e a tutto il vecchio che merita di restare. Carpe diem a tutti Voi per un 2014 di emozioni che parlano quanto sa farlo il mare, in silenzio.

martedì 24 dicembre 2013

Tante Voglie di Auguri a tutti voi.

La super cena della Vigilia è arrivata! E' cominciato già da ieri, e per i più ritardatari da stamane il via vai per gli ultimi acquisti. Questa sera siederemo davanti ad una tavola imbandita con ogni ben di Dio e festeggeremo, si spera uniti, il Natale.
Io di Voglie letterarie non faccio testo, sebbene abbia un sorriso stampato sulla bocca a mò di francobollo 364 giorni all'anno, bè il mio costume natalizio è la malinconia e lo indosso a pennello senza cruccio. Stamattina sono uscita in giro coperta di panni fino al collo e ho respirato l'aria gelida della vigilia, col cuore colmo di speranza, ho scambiato gli ultimi auguri, ho comprato dal fruttivendolo un po' di fragole, more e ribes rosso per la mia cena di Natale, ho portato il mio vecchio compagno peloso a farsi bello  e sono tornata a casa. Uscendo dal supermercato con le buste della spesa ho visto un omone di colore, con un cappotto giallo, perso nel suo cappuccio che tendeva un cappello vuoto con la mano destra, ho pensato che anche per lui domani sarà Natale e per tante persone cui manca qualcosa o qualcuno, domani sarà Natale. Ho pensato che dovrebbe mettersi a lavorare e che non meritasse le mie monete, poi un altro pensiero ha preso il sopravvento e ha vinto, e il pensiero era che non avrebbe potuto prendermi in giro a Natale, o che forse resto una consapevole ingenua anche a Natale, forse. Voglie letterarie vi augura un Natale di gioia, di serenità, di godimento, di voglie che trovino giusto appagamento e realizzazione.

giovedì 19 dicembre 2013

Un'incontro speciale.

 
Il Natale è qui, puntuale, inesorabile come sempre. Gli ultimi frenetici giorni convulsi prima del 25 dicembre 2013, le scadenze sul lavoro che non si ha più voglia di rispettare perchè senti incombente quella necessità che l'occasione ti offre, di staccare la spina da tutto, di prenderti un pò di tempo per te, per le tue cose, per la tua vita, di fare un respiro lungo dei giorni che poi ti permetta di ricominciare,  lasciare spazio a delle emozioni che una quotidianità  piena di cose da fare non ti concede. Ti concedi tu, a te stessa, pensi che sia un buon momento per trovare pace, rilassarti, dimenticare, magari in un posticino tranquillo a pochi metri dal mare ascoltandone solo il rumore. Il Natale amplifica, amplifica tutto, le mancanze, le assenze, amplifica finanche le presenze, fortifica quei fili sottili ma resistenti che non riesci a tagliare perchè in fondo non lo senti davvero o non lo vuoi, ti fa sentire enormemente solo in mezzo alla folla di gente convulsa e scostante alla ricerca spasmodica dell'ultimo regalo e tu incedi tra questa folla incurante a passo lento. Il Natale ha un senso, ce l ha sempre, e ognuno di noi si chiede quale possa essere, di anno in anno, si guarda dentro con una bella lente e cerca di coglierlo, cerca di capire cosa non va, cosa vuole davvero. Il senso del Natale è nel profondo di ognuno di noi, non è nella corsa ai regali, e qui potrei elencarvene a bizzeffa, ma non ne ho la voglia. Forse ci sono quei pensieri futili, leggeri e per carità legittimissimi, per aprirsi una parentesi di piacevolezza dal resto, da tutto quello che ci fa ogni giorno faticare per restare a galla, tra emozioni che non capiamo, matasse che non riusciamo a sbrogliare, difficoltà legate alla quotidianità, desideri di una stabilità emotiva e reale che naufragano, ci sono quei pensieri, che sono come carezze che ci facciamo, e quindi un'occasione carina per stare insieme agli altri, una festa, un vestito da indossare che metta in mostra tutta la bellezza di cui si è capaci, quelle scarpe col tacco 12 che hai visto nella vetrina da giorni e che puoi comprare, quel giocattolo ultratecnologico che farà impazzire di gioia la tua nipotina e che non vedi l'ora di regalarle perchè non resisti davanti ai suoi occhi che brillano, davanti alla sua foga di baci e di abbracci che ti riserva ogniqualvolta le porti qualcosa, perchè ti senti irrimediabilmente felice quando dai, quando riesci a farlo, ti senti veramente paga. E' solo che a volte non ce la fai a dare quello che vorresti, quanto vorresti, a volte ti richiudi in un guscio costruito ad arte che lascia intravedere solo il freddo del vetro che lo ricopre, un guscio che tu vorresti si schiudesse, ma serve il calore necessario perchè ciò avvenga, non puoi farlo da solo. Per me è questo il senso del Natale, è riuscire a dare, è nello scambio dare - ricevere, poi può trattarsi di un sorriso, di una stretta di mano, di un abbraccio, o di un bacio infinito, ma è nel saper dare, nel riuscire nonostante le nostre resistenze dettate dalla paura di scoprirsi troppo, di essere respinti, vulnerabili e fragili, a lasciarsi andare, ad emozionarsi senza tenere troppo le briglie della razionalità su on. Il Natale è l'incontro con l'altro, è quel ritrovarsi a metà strada camminandosi incontro.

sabato 14 dicembre 2013

IncontrArTi.....

 
 
Domenica 15 dicembre l'incontro con l'arte conduce... al Womb!
"IncontrArti". Un evento dal forte gusto artistico e culturale si terrà nelle sale del noto club salentino Womb (Strada Vicinale Bernardini s.n.c. 73020 Cavallino, Puglia, Italia)  dal 15 al 18 dicembre,  dalle ore 18 alle ore 23. 
Nella loro diversità e poliedricità di stili  23 artisti,  convergono  e si  raccontano attraverso le loro creazioni in un modo originale e personalissimo. Da qui il nome, nonchè tema centrale dell'evento, " Incontrarti" che rappresenta l'incontro con l'arte, con arti diverse  accomunate da un unico ed universale linguaggio in grado di parlare a tutti e giungere ovunque. Ebbene in questi giorni vi si offre preziosa l'occasione di godere di quest'incontro personale e intimo, di trovarvi in un club che diventa un museo d'arte diffusa, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia al teatro, al fumetto, all'arte grafica. Gli organizzatori e componenti di Free Labs, vi fanno questo regalo di Natale, un viaggio nel mondo dell'arte e delle sue emozioni senza pagare il biglietto. Buon Vernissage a voi e a Voglie letterarie.

 

mercoledì 11 dicembre 2013

La nuova malattia sociale sarà l'intelligenza.

C'è un giochino che talvolta mi piace fare con i libri, vi spiego meglio, li apro a caso e leggo la frase o il periodo dove cade l'occhio. Ed è come se nel momento stesso in cui lo faccio, facessi una domanda mia del tutto personale e volessi una risposta a questa domanda, che io non mi so dare, e la delego al caso, la lascio lì in balia di un'occasionale apertura di un libro e in qualche modo l'effetto arriva. E' un pò lo stesso giochino che faccio quando mi fermo al tabaccaio per comprare le sigarette e compro i baci perugina, ne scelgo uno a caso e spero di trovarvi dentro l'oracolo di Delfi. Non saranno giochini adatti alla mia età, ma chi se ne frega, stranamente sarà un caso, o forse no, ma io una risposta alle mie domande la trovo sempre, e sarà una fortuita coincidenza, ma poi la stessa risposta che mi arriva si traduce in qualche cosa che mi serve. Non lo so, magari funziona solo con me, comunque sia provateci, non si è mai troppo grandi per credere in qualcosa. Chilometrica divagazione a parte, oggi sono un pò congestionata sotto tanti punti di vista, e quindi, mi sono presa una pausa dal lavoro pomeridiano previsto, ma non una pausa dalla scrittura, quello non mi riuscirà mai, credo e spero. Stavo fissando lì poggiato vicino all'abajour della mia scrivania il libro del momento, del mio intendo, quello ritrovato e l'ho aperto a caso, alla pagina 221, ( chi ce l ha può verificarlo, chi non ce l ha lo compri per verificarlo), e mi sono messa a leggere così per puro diletto, senza trovarci una risposta come col solito giochino, (è un periodo questo in cui non ho domande da fare, non ho delegazioni importanti, forse perchè quello che c'è da sapere lo so già e mi basta, o comunque sia me lo faccio bastare, ennesima divagazione alla Diego De Silva, scrittore che devo dire mi garba un sacco). Mi sono subito messa a ridere di gusto, ah voi non ve lo figurate neanche quanto divertente sia addentrarsi in quest'avventura, ve lo consiglio come regalo di Natale a voi e a qualcuno che volete far ridere, divertire, incuriosire, appassionare, fate un pò voi. Comunque sia visto che di questi tempi va di moda la condivisione, sono generosa e vi riporto la pagina sorteggiata a caso che mi ha dispensato un'allegra risata, dato che del tutto casualmente mi è parso di cogliervi una certa "non so chè" di connotazione letteraria.
" L'umanità, con tutta evidenza imperfetta, non ha ancora concluso il suo ciclo evolutivo. In un prossimo futuro, magari solo per comodità, i genitali dei due sessi saranno al posto oggi occupato dalla testa, e le bevute, sempre meno necessarie, le faremo sotto la cintura. Il che consentirà a giovani e meno giovani di incastrarsi  a dovere senza preliminari romantici e senza quel defatigante armeggiare con cerniere lampo e bottoni. In altre parole, gli umani saranno in grado di stabilire quello che Forster chiamava un "semplice contatto" aspettando che scatti il verde al semaforo, in coda al supermercato, sulla panca di una sinagoga o di una chiesa. Tanto il brutale " fottere" quanto il più delicato " fare l'amore" lasceranno il posto alla " capocciata", e a frasi tipo, oggi passeggiando per la Fifth Avenue ho incrociato una bona pazzesca, e le ho dato una bella capocciata. L'aspetto sorprendente di questa evoluzione culturale è che i luoghi proibiti dove si daranno convegno i peccatori  sbottonandosi la patta o calandosi le mutande per fare due chiacchere come si deve non saranno più i bordelli o i casini che dir si voglia, ma le biblioteche, sotto costante minaccia di chiusura a opera della Buoncostume letteraria. E la nuova malattia sociale sarà l'intelligenza. quando tutto questo accadrà, ricordati che per la prima volta lo hai letto qui. Tratto da " La Versione di Barney di Mordecai Richler"
 

Love is in the air.


Ci sono delle cose che ami, le ami punto. Se ti fermi a pensare perchè le ami ti rispondi che non lo sai, perchè tu puoi facilmente elencare una miriade di motivi e dare un alibi a questo amore, ma sono una miriade di motivi che non spiegano alcunchè. Tu ami qualcosa o qualcuno perchè è così e basta, e non puoi farci proprio niente, non puoi obbligarti a un non amore. Come dice Benigni, l'amore è come la morte, " non puoi essere poco morto o troppo morto, così come non puoi essere poco innamorato o troppo innamorato, o lo sei o non lo sei, o sei morto o non sei morto"! E già nel momento in cui ti soffermi a chiederti se ami o no qualcosa se ami o no qualcuno, hai già la risposta, perchè quando ami qualcosa o qualcuno, quella di interrogarti non è un operazione che fai.  Ci sono quei tipi di chimica che sbocciano a prima vista, sono vere e proprie alchimie di elementi, di materia, di pelle, odori, non lo so dire, quello che so è che un alchimista c'entra sicuro, perchè quando hai quell'odore lì o quel sapore, è come se questi venissero subito captati e trattenuti da dei sensori da qualche parte, e restassero nella loro essenza intatti e inalterati, e in quel momento il tuo cervello ne è inebriato, completamente soggiogato e schiavo. Queste persone, queste cose qui, ti scatenano un imput e tu puoi fare tutto e il contrario di tutto razionalmente per non amarle, ma proprio non ce la fai a stare senza. Sono il miele sul formaggio, il cherry sul riso, la marmellata di amarene nel cornetto, il sale necessario nella pasta o non ti sa di nulla, il libro fisso sul comodino, quel post-it colorato sulla tua agenda che ne spezza il pallore delle pagine, il cd di Grignani che ti spari a palla per fermare i pensieri,  quei pugni che sferri nel vuoto dell'aria durante una lezione di aerobica free style. Lo sai che l'amore è intorno, proprio come quella bella canzone " Love is in the air" di Jhon Paul Young, l'amore è in tutto ciò che facciamo, è in tutto ciò in cui siamo veramente presenti a noi stessi, come se facessimo un appello e fossimo sempre lì pronti a vivere quel momento.  Love is in the air, soffia in quest'aria gelida di dicembre, ti si muove accanto e tu devi solo afferrarlo, trovarlo in tutto quello che fai. Io ho ritrovato un vecchio amore, l'ho ricomprato, l'avevo prestato e non è mai tornato indietro, forse perchè era necessario che in questo tempo in cui non l' ho avuto, in tutti questi mesi in cui è stato assente, in cui non ho sfogliato quelle pagine, non le ho imbrattate con la penna, non l'ho guardato campeggiare dietro la sua copertina rossa dalla libreria, non ho incrociato quello sguardo un pò perso e maledetto dell'autore che ti fissa, magari comodamente adagiato in poltrona e con un wisky in mano che non cogli, ma che di sicuro c'è, mi mancasse e mi mancasse talmente tanto, come sanno fare solo quelle cose che ti entrano dentro per un qualche motivo e che non puoi permetterti mai il lusso di perderti. Adesso quello spazio nella mia libreria è di nuovo occupato e ogni volta che vi volgo lo sguardo avverto un senso di pienezza intorno, so che è li e che è mio, so che per quanto non è quello il libro che ho letto, visto che questo qui è nuovo di zecca e non l'ho posseduto, l ho solo ancora sfogliato, mi riporta in un baleno a tutte quelle emozioni che ho provato leggendone le pagine, e credo, anzi sono certa che lo leggerò ancora, perchè è come quando fai l'amore con qualcuno che ti piace, non ti basta mai una volta sola.

lunedì 2 dicembre 2013

Benvenuto Dicembre.

Il mio blog ha messo il vestito delle feste, il Natale è dietro l'angolo, per l'appunto. E diamo pure il benvenuto a dicembre, il mese che ce lo porta. Quest'anno, pare sia arrivato gonfio di pioggia, piove da ieri, non che io abbia qualcosa contro la pioggia, anzi vi dirò, mi piace molto quando piove, per ragioni tutte personalissime e per ragioni pratiche, l'acqua fa bene, le piante bevono e anche gli animali, quelli randagi intendo, chissà forse bevono anche le persone, i clochard per esempio, raminghi e solitari sotto qualche ponte. La pioggia è una benedizione del cielo, ma ci sono rari casi in cui così non è, e sono quelle eccezioni che preferiremmo non si verificassero, in cui pioggia equivale a calamità naturale, in cui viene associata alla perdita, di vita, di speranza, di sicurezza, e l'allerta meteo di questi giorni ci ha messo addosso un pò di ansia, un pò di legittima agitazione, del resto si sa l'attesa di una previsione statisticamente attendibile può fare di questi effetti.  
Ora il cielo è plumbeo e denso di nuvole, e di certo non lascia presagire il sereno. Anzi, a dire il vero, mentre scrivo, piove, un pò come ieri, la pioggia cade a intervalli, fitta, è tutto un vociare, ha la voce grossa la pioggia e si spera che smetta. Proprio ieri facevo un'osservazione, la pioggia fitta mette a tacere i pensieri. Dicembre e' un mese ricco di cose, forse troppe, troppo rumore intorno, luci, addobbi, tutto è necessariamente in festa, ma magari non è proprio sempre così, anzi. La corsa all'albero, per esempio, i nuovi addobbi, questa frenesia nell'aria e magari tu l'albero non l' hai nemmeno ancora fatto, e poi chi l'ha detto che lo spirito natalizio sia in queste cose qua. Forse, quando eravamo piccoli, c'era davvero quell'attesa, cominciava da Dicembre, io personalmente ho scritto lettere a Babbo Natale fino all'età di 16 anni, chiedendogli una lista lunghissima di cose improponibili, scrivevo, imbucavo e speravo, eppure sapevo bene già da un pezzo che non esisteva sto buffo vecchino grasso e goffo con la barba, però mi piaceva crederlo, e mi piaceva credere che stesse davvero provvedendo a rendermi felice. Ora ci pensi da sola a provare a renderti felice, ci possono pensare le persone intorno a te, più o meno, ma la tua felicità dipende solo da te. Per essere felice devi mangiare cose buone, pensare cose buone, vivere cose buone, cose sane e lasciare da parte quello che già sai che non è sano e non è buono, in altre parole devi volerti bene per essere felice e smettere di girare e girarti in tondo. Eh a parole siamo maestri con i fatti ci perdiamo in gineprai senza uscita, e il Natale mica ci aiuta in questo, anzi, sono dell'avviso che il Natale amplifichi di molto la nostra dimensione umana, è come se fuori dalle feste, quello che siamo e che viviamo se ne resti bel bello nel suo angolino all'ombra, poi per le feste si accende un bel faro dritto sulla tua dimensione umana e disagi, solitudini, cure, bè hanno una bella amplificazione, di botto così di volata da 1 a 10, in un baleno, come sulle montagne russe, solo che non ci volevi salire, e quindi visto che sono queste luci esterne che si proiettano su di te, tu vorresti andare li e spegnerle tutte. Cioè non che io voglia fare la guastafeste, ma voi ditemi un pò dov'è che sta scritto che a Natale una deve necessariamente stare a 1000, no grazie, io mi limito a starci, punto. Questa forma di indiretta amplificazione mi spaventa un pò, e poi non parliamone proprio della sigla " E' Natale e a natale si può fare di più, è Natale e a Natale si può dare di più".. ma cosa vuoi fare a Natale che negli altri giorni non fai, cosa vuoi dare che negli altri giorni non dai?.. Bè magari sto un tantino messa meglio di chi ascolta sta sigletta e apre i rubinetti, non sta ancora accadendo per il momento. Insomma mentre l'anno scorso ricordo che postai un pezzo su un social network con una foto con tanto di balcone con su scritto " Buon Natale un cazzo", quest'anno mi pongo su una moderata via di mezzo, niente perbenismo finto a tutti i costi, che poi magari sarà questa la visione matura del Natale, poi una cosa fantastica c'è, quest'anno è il primo Natale del mio blog, il suo primo Natale, bè è un evento da " rosso sul calendario". Poi comunque diciamo che queste sono solo le prime acerbe impressioni, in fondo siamo solo al 2 dicembre, fino al 25 terrò ben dritte le antennine, come le renne di Babbo Natale.

 

domenica 24 novembre 2013

L'impiccione viaggiatore.

 
C'è una categoria di gente su questo pianeta che rimane ferma lì incastrata nel primo tratto esofageo, è come un boccone indigesto, non scende, è una categoria che commettendo un errore grossolano di valutazione, spesso annoveriamo tra gli " amici" o amici apparenti, che ti scrivono, ti cercano, fanno solo finta di amarti, ma in realtà vogliono solo farsi una buona forchettata di fatti tuoi. Si chiamano impiccioni, sono quelli che vogliono affondare un pezzo di pane nel fondo del tuo piatto e inzupparlo ben bene, poi una volta raggiunto l'intento, tu potresti anche semplicemente sparire dalla faccia della terra, poco importa se ti hanno rapita gli alieni, se ti sei trasferita su Marte, o ti sei eclissata in un fottuto angolo del mondo, non ci sei più. punto. Occorre però fare una ben netta distinzione onde evitare di cadere in errore. Quelli che abitualmente finiamo per considerare amici o amicizie sono salde conoscenze e buoni rapporti annodati per qualche circostanza del caso o beneficio, sono quelle persone mandate dagli dei o dal cielo, a lenire le nostre cure, a darci una spalla in prestito sempre comoda su cui poggiare la testa, sono quelli che ti fanno sentire un pò di calore con un gesto, con un messaggio, con un sorriso, sono quelli con cui riesci a farti la migliore chiaccherata della tua giornata a volte anche in silenzio, quelli che ti guardano e sanno già cos'hai, quelli con cui puoi anche restare in silenzio e capirti comunque, quelli che anche se sono materialmente distanti da te non lo sono mai abbastanza per non esserci. Sono la tua mano destra o quella sinistra, io sono di sinistra, quindi scelgo quella, e so dire con certezza che i miei amici li conto sulla sola mano sinistra, giusto alcune dita, e poi scattano le gerarchie inevitabili, pollice, indice, anulare e mignolo. Eh... salto appositamente il medio e lo rifilo agli impiccioni, a quelli che non ti dicono ciao come stai, cosa pensi, che fai, che messa così potrebbe anche risultare un interrogatorio, ma è un terzo grado di rispetto, di amicizia, di cura. Invece alla categoria " dito medio" che annovero sulla mano, solo per dedicarglielo sto dito medio,  ci sono quelle personcine che vogliono solo capire come fila la tua vita, se hai un compagno, se guadagni abbastanza, se sei uscita, chi hai incontrato, e bla bla bla...e le riconosci subito, perchè per quanto di fatto non gli importi un fico secco di te, ti sciorinano un pò di graziosi appellativi che vanno dal tesoro, amore, e tu pensi nel nano giro di un secondo che mai nella vita hai mangiato nello stesso piatto e non ti fermi a riflettere nemmeno sul perchè di questo affetto gratuito che ti viene dispensato. Ora, è una categoria che esiste e non è che possiamo farci niente, però trovo di cuore che se la gente riuscisse a occuparsi delle proprie faccende e non facesse un corso per ficcare il naso negli affari tuoi, forse i suoi di cazzi ne trarrebbero anche qualche sano beneficio.  Il cattivo tempo di oggi funge da molla per riuscire a farmi esprimere in inchiostro quanto penso, soffro di metereopatia delle volte, oggi però sono contenta di questo disturbo metereopatico, quindi cari impiccioni del pianeta, ogni tanto disintossicatevi e fatevi na buona portata di fatti vostri che pare campiate di più.

martedì 19 novembre 2013

Un'altra stanza in "A sud del confine e a Ovest del sole".

Ed ecco che entro in un'altra stanza, pian piano, quasi assaporando il passo, sentendo la consistenza del mio piede che incede seguito dall'altro sul pavimento, e conosce nuove pareti, una nuova luce che filtra dalla finestra, una nuova musica nell'aria, e anche in questa stanza c'è musica, c'è il jazz, nella voce di un musicista drogato o disturbato, ringraziato da un buon whisky, che in un lungo assolo di Embraceable You mi travolge con un esecuzione sconvolgente.
Ed è lì, a sud del confine e ovest del sole. Io sono ancora in quelle pagine, ci ho lasciato l'anima in quelle righe calcate d'inchiostro, come ogni buon libro che si convenga di amare. E' una nuova stanza, capace di regalarmi ancora, sempre, forti emozioni.
Tutti vogliamo essere travolti dalla forza di esecuzioni coinvolgenti. Nove volte su dieci si rimane delusi, ma la decima volta si arriva ad avere un' esperienza sublime, che è poi quella che tutti cercano. Ed è questo che muove il mondo, questa è l'arte. Pare che tutto, proprio tutto, prima o poi finisce, tutto ciò che è visibile scompare con tale facilità, però ci sono delle emozioni, che restano per sempre. E poi ci pensa una nota jazz a risvegliarle, una pioggia battente, un silenzio assordante intorno. Del resto una nota sublime, un'esecuzione sconvolgente non si può dimenticare, esplode in un grido sordo, più è il silenzio che la precede, più è l'assenza di esecuzioni coinvolgenti e più feroce e sconvolgente è il tuono. Non può esserci travestimento che possa alla lunga nascondere un'emozione dove l'abbiamo confinata per amare o solo per amarci, nè fingerla dove non c'è. E' solo in vista di quell'esecuzione sconvolgente che conserviamo la speranza che tutto ciò che è tangibile e presente possa dissolversi senza farci troppo male, perchè in mezzo a questo deserto, che Murakami Haruki rivede in tutto ciò che si vive ed è intorno, che per un ciclo fisiologico e naturale vive e muore, in quel deserto ci saranno, nel mezzo, un bel pò di fantastiche esecuzioni, si spera, che dureranno un giorno, un mese, un anno o pochi minuti, ma che vale la pena aspettare. E quanto aspettare?.. Nei libri, nei film, l'attesa è un concetto fittizio, non c'è attesa, o meglio non v'è traccia di ciò che può fare all'anima e al corpo l'attesa. Compare una scritta ".. tre mesi dopo"... " 3 anni dopo"... " 7 mesi dopo".. il tempo non sembra avere sapore, quel sapore che ha inevitabilmente  nella vita, in una quotidianità priva di sconvolgenti esecuzioni, dove ogni giorno, bello, per carità, sempre, perchè respiri, l'aria ti arriva dentro ai polmoni,  e i tuoi occhi sono aperti e sei viva, e già questo di per sè un miracolo, ma senza sconvolgenti esecuzioni, quelle che ti bagnano di pioggia dalla testa ai piedi, ti pompano l'adrenalina al cervello, ti fanno vibrare l'anima come le corde di un  violino  sfiorate da un archetto quelle esecuzioni lì, ti rendono quell'attesa di una nuova esecuzione più sopportabile, perchè te la riportano davanti agli occhi e te la fanno rivivere nella mente più volte, e quella nostalgia poi muta in speranza di una nuova sconvolgente esecuzione. Quel tempo d'attesa di giorni, mesi, anni, condito di nostalgia e speranza, scorre sopportabile finchè qualcosa che non controlli, che non puoi addomesticare, perchè è primordiale e selvatico irrompe e cerca quell'esecuzione. Insomma in " A sud del confine e a ovest del sole" c'è una nuova stanza, la stanza del deserto,  (deserto di Walt Disney, allusione metaforica) dove entriamo e ci sediamo comodi in poltrona in un attesa più o meno sopportabile, più o meno nostalgica, più o meno felice di un'esecuzione sconvolgente, subito dopo la quale, pensi che potresti impazzire senza.
<< Mi era rimasto ancora nella mente il contatto con la sua lingua morbida che avevo appena sfiorato per farla bere. la vista di quelle labbra mi toglieva il respiro, non riuscivo più a pensare a nulla.Lei mi desidera, - pensai, - e anch'io la desidero>>. eppure riuscii a resistere, dovevo fermarmi a quel punto.Se fossi andato oltre non sarei più potuto tornare indietro.Ma potevo sopportare ancora tutto questo sacrificio>>?
Io lo so come andò, vi invito a scoprirlo. 

lunedì 11 novembre 2013

Il santo dei desideri alcolici.

 
Credo che questo qui possa definirsi " un primo vero giorno d'inverno, l'aria accenna ad essere più fresca, piove a dirotto da stamattina all'incirca e la luce, quella luce che ti spalanca gli occhi e poi i neuroni, bè quella luce lì pare stia venendo meno. C'è plumbeo tutt'intorno. Il mio blog resta a galleggiare nella vastità di questo azzurro mare, lo lascio lì a goderne ancora.  Oggi qui si festeggia San Martino, il santo generoso del mantello e quindi a fiumi scorrerà del buon vinello, nelle case, al caldo di un primo fuoco che conforta, nei locali, ma comunque sia con gli amici e tra gli affetti. Pare che il vino sia l'elisir della dimenticanza, bevi e bevi fino a stordire la mente e il cuore. Pare, è una teoria! Ma sappiamo bene che per ogni teoria che professa qualcosa c'è n'è sempre una pronta a sconfessare la precedente e via dicendo. Per la teoria che vi si contrappone il dolce nettare degli dei a gran sorsate, farebbe ricordare, e non solo ricordare qualcosa che magari hai sepolto in fondo alla memoria, ma ti farebbe vedere tutto come realmente è, ti mette in faccia la verità di una cosa, quella che per non ferirci e non ferire dimentichiamo. Io non so quale teoria sposare, so come mi sento io quando bevo, quando alzo un pò il gomito e mi lascio consapevolmente stordire dagli effluvi alcolici.
Restare sobri tiene alta la soglia di attenzione sulle cose che abbiamo intorno, tiene all'erta il controllo delle situazioni che viviamo, ci tiene in equilibrio sul nostro filo, e siamo al sicuro da ciò che può essere pericoloso, scomodo, imprevisto. Restare sobri ci mantiene sul filo e ci tiene a galla. Bere ci fa mettere un piede fuori dal filo, nel vuoto, ci fa smettere di esercitare sempre un controllo sulle nostre emozioni, ci toglie dal sicuro e ci fa guardare in faccia quella che è la verità delle cose, del resto " in vino veritas" è un'espressione sacrosanta. Siamo bugiardi cronici, quando ci raccontiamo la telenovela che abbiamo dato sfogo a un qualche desiderio, abbiamo mandato un messaggio che non dovevamo, abbiamo fatto una telefonata che non era giusto fare, abbiamo cercato qualcuno che non è cosa buona e giusta cercare, ci siamo concessi un desiderio come una debolezza o un errore, siamo cronici, malati di bugie che nascondiamo nell'alcol, nell'aver bevuto un pò, e ci diciamo e ci raccontiamo che se non avessimo bevuto, non l'avremmo fatto, sapendo che è solo una grande bugia che funge da alibi di ferro, ma che in realtà fa acqua da tutte le parti, perchè non siamo mai così sinceri e veri con noi stessi e gli altri, come quando beviamo un pò di più. Basta dire, non ti avrei scritto se non avessi bevuto, non ti avrei baciato se non avessi bevuto così, che tutto improvvisamente torna in ordine, tutto rientra sicuro.  Ora non è che perchè oggi è San Martino, io sto qui a incitarvi a bere, a cercare la verità, a cadere nel vuoto, a stordirvi, a dimenticare o a ricordare, nulla di tutto questo, non è di certo un monito all'alcolismo, però io so che quando bevo tutto quello che ho depositato, curante o noncurante in fondo all'anima, riemerge in superficie, quasi come mi trovassi in fondo in fondo al mare con addosso un gav che mi riportasse di colpo con la testa fuori dall'acqua, il processo di emersione è immediato, solo che io non sono negli abissi e non ho un gav, ho solo bevuto un pò. Insomma un buon bicchiere di vino, come dicevano i nostri nonni, fa buon sangue, ti mette il sorriso, ti si spalma sulla lingua e sul palato e ti inebria i sensi quel poco che ti serve per vedere questo mondo un pò come lo vuoi tu, capovolto e a colori. Bere un buon bicchiere di vino ti fa fare un viaggio con le emozioni su on, poi quanto alzare il gomito dipende da te, da come ti fa sentire, da come ti peggiora o migliora quei detriti depositati sul letto del tuo fiume. Bando alle ciance e alle teorie, buon San Martino a tutti, a chi avrà accanto chi desidera per condividere quel brindisi e a chi bevendo un pò di bicchieri vi troverà quel desiderio nel fondo. Avete tante scuse oggi per scrivere a chi amate e non potete avere, per dichiarare un intento a qualcuno che desiderate, per dire un perdono, per dire un ti penso. Fate l'amore con i vostri desideri stasera, potete, sarete tutti ubriachi e non colpevoli di aver desiderato o osato.

venerdì 1 novembre 2013

Amputazioni.

Oggi è festa, o almeno così pare. Non si lavora, sul calendario la data è in rosso e pare ci sia scritto su "Ognissanti" o tutti i Santi, per me è buona la prima. In genere in questo periodo non sono al massimo della forma, è come se una lieve e dolce malinconia mi vesta, sotto sotto i vestiti, non la scorge nessuno, forse, è silenziosa e per certi versi tiene anche compagnia. Non ti accorgi quando ti arriva, la senti dopo quella presenza lì, per certi versi indesiderata. Oggi il sole dovrebbe essere caldo, ieri il cielo era avvolto dalla nebbia, era come se si fosse bevuta case, strade e persone, e quell'umido ti entrava fitto nelle ossa, quindi oggi c'è il sole sicuro. Poi qui nel Salento siamo fortunati, la temperatura è mite e dolce e il mare è ancora accogliente. La cosa bella di una passione è che tu non te ne congedi mai, neanche quando come oggi è festa. Sono quei bisogni che non ti danno tregua, che ti arrivano e ti investono inarrestabili, come la scrittura, come quella fame di scrivere, di imbrattare un foglio bianco riversandoci tutti i pensieri, quelli più strampalati, quelli più banali, quelli più assurdi, vomitandoci su una parte di te che ha voglia di vomitare da qualche parte che non sia un cesso. Sto pensando alle palme, alle amputazioni delle palme. Ne ho viste tante amputate, spegnersi lentamente, e lasciare spazio ad una nuova visuale dove lo sguardo si disperde. E' come se si aprisse, si spalancasse un orizzonte nuovo, dove c'era prima quella palma, una "pinco" finestra che da sul mondo, una finestra che nasce da un'amputazione, un processo irreversibile che ti impedisce di scorgere la bellezza di un nuovo orizzonte. Bè per quanto oggi sia un giorno in cui i Santi si festeggiano tutti insieme ed è l'onomastico di tutti, di tutti quelli che hanno un nome che sia di un Santo, anche di tutti quelli che santi non sono, io non riesco a non pensare a domani, alla mia ancora fresca amputazione, ad una persona che ho amato tantissimo e che ora che non c'è più sento di amare il triplo. Le cose le apprezzi veramente quando le perdi, quando non le hai più, se non vagheggiandone il ricordo, ricordo che in un attimo può riempirsi di tutta l'intensità di cui si è capaci e allo stesso tempo svuotarsi. Quando continui, malgrado l'assenza a pensare a qualcuno, è un pò come se non se ne fosse mai davvero andato. E poi lascia che dicano, ma in fondo capita, è la vita, è un processo naturale e irreversibile, non te ne importa nulla di quanto dice la gente, pensi solo alla tua amputazione. Pensi a quel paesaggio, come lo chiamava anche De Silva nei suoi cimiteri spontanei, inevitabilmente modificato dalle amputazioni che hai subito. La vita è davvero un soffio e l'unica cosa per cui vale la pena di vivere è l'amore che hai verso gli altri e verso la vita stessa, perchè è una sola ed occorre che egoisticamente la si viva bene, ci si concentri tutt'intorno di quelle persone che ci scaldano in un rigido inverno più di un pullover di lana, di quelle persone che ti regalano un sorriso, un abbraccio, una stretta di mano, che ti tengono nella loro vita, in un qualche modo, ti tengono e occorre invece liberarsi di coloro che non ci vogliono tenere per scelta. Lo so è un post triste questo, non è di certo il post di Ognissanti, è un post che grida alla mancanza, a quei pezzi che mancano, che ci mancano, a quei puzzle irrisolti e che forse resteranno tali,  alle amputazioni che abbiamo subito per scelta degli altri, per un processo naturale ed inevitabile di cui non ci si convince mai abbastanza. Quello che ne viene fuori è un paesaggio modificato da finestre che si sono aperte su un orizzonte, che si vedrà quando saremo pronti a vederlo, non prima.

giovedì 24 ottobre 2013

La stagione del biancospino.


Inventi un amore

che muore col vento

Ma prima di farlo

Non serba rancore

 

Un giorno di marzo,

con l’aria serena

ti si avvicinò

con il cuore in pena

 

ti prese con forza

con la trasparenza

di chi ha già pagato

ma non abbastanza

 

cantava “l’amore

mi passa vicino

nella stagione

del biancospino”

 

ma il vento era forte

e le foglie spingeva

aprendo le porte

della primavera.

E la accompagnava

In alto sul trono

Spingendo l’inverno

Sempre più lontano.

 

Così primavera

Soffiata dal vento

Del tuo scrigno segreto

Apriva l’incanto

 

La mite stagione

ormai amava il vento

che già le cantava

Il dolce suo nome,

soffiando fra i rami

non stava a guardare

dai piedi ai capelli

la volle baciare.

 

E lui era il vento

Tu la primavera

Ma tu lo portasti

Dove vento non c’era.

 

Nel bosco d’inverno,

il vento raccoglie

del cuore e del viso

le giovani voglie.

Trovando ristoro

Fra i rami e le foglie

S’intreccia con loro

In vortici d’oro.

 

Ma il caldo e la terra

Il vento rifugge

Per il grande mare

Il cuore gli rugge.

Così da quel bosco

Il vento scappava

Attratto dall’onda

che in onda passava

 

E se non c’è vento

E l’aria si ferma

L’amore non vola

Per la primavera,

che resta da sola

già da quel momento

quand’ Eolo s’invola

giù per la scogliera.

 

L’odore del bosco

Secco e rappreso

Lascia l’idea

Di un discorso sospeso.

 

 

 
                         

mercoledì 23 ottobre 2013

Gajardo!


Mi è sempre piaciuto " el romano".. mi sa di allegro, di friccico, di core presciatu e si sa la vita o la prendi come viene o ti fai un grande amaro. Io ci sono stata a Roma, non solo in viaggio, ma ci sono stata per un anno intero a singhiozzi per fare un master alla Sapienza,  e devo dire che in questa città magica, perchè è così che la trovo io, magica ed eterna, bè mi sono sentita addosso un profondo senso di libertà, quella libertà che ti permette di vivere come sei, di sentire mentre l'aria del mattino ti affonda nelle narici e raggiunge le tue viscere, un senso di appartenenza solo a te stessa e a tutto quello che ti circonda. La mia sveglia suonava prestissimo al mattino e ogni giorno era una nuova avventura, perchè quando sei fuori casa, indipendentemente da quello che è il tuo percorso quotidiano che può essere anche lo stesso, le variabili possono essere tante e sempre belle, specie a Roma, anche solo se decidi che hai fatto più presto del solito e vai a passeggiare a Piazza di Spagna, vai a lanciare una monetina a Fontana di Trevi, ti perdi a Piazza Navona, o ti siedi a quel caffè che si affaccia sul Colosseo e ti lasci scaldare dal sole mentre ti gusti un dolcino. Roma è meravigliosa, mi metteva addosso una grande energia, devo tornarci. Ricordo che rientravo dalla facoltà alle 19 di sera, mi buttavo sotto la doccia velocemente e poi indossavo un jeans, una maglia e un paio di scarpe da tennis e uscivo in giro per andare a fare la spesa al discount e non mi preoccupavo mai di non essere truccata, o troppo a posto, non me ne importava affatto e non importava neanche a chi incontravi. E poi potevi metterti dal nulla a parlare con qualcuno, di quello che ti pareva, un pò come faccio io anche qui, rischiando di non essere presa in considerazione, o facendosi qualche volta, o più di qualche volta la più bella chiaccherata mai fatta, con un estraneo, che non ti conosce, con cui hai un piacevole scambio di opinioni su un qualche argomento tirato fuori per fortuita scelta o per occasionalità. I romani veraci o trapiantati hanno tutto un loro modo di comunicare, e quasi tutti hanno quest'aria alla " lassa fare" che si portano a spasso e su questo la dice lunga il loro curioso gergo linguistico che sta anche assumendo una connotazione come dire "universale" un pò come quelle parole made in England che non hanno una traduzione letterale in lingua italiana. Giorni fa mi è capitato sotto gli occhi sulla home del social network per eccellenza, e parlo di facebook, l'immagine di cui sopra che poi è o dovrebbe essere l'anima di questo post e ho riso di cuore davanti a " me fai tajà, sto' na crema"e Nnamo a fette". Solo per poter usare questo slang, senza risultare grezza o coatta, mi piacerebbe trovarmi a roma. Ma passiamoli tutti in rassegna con la loro debita traduzione in inglese. Vediamo in pole position spicca " Gajardo" che sarebbe un pò come dire finendo con l'usare sempre un linguaggio romano "doc" , me piaci na cifra, quindi esprime un gradimento a tutto tondo con quell'accento romano enfatico e che trova corrispondenza in " cool" che però a mio avviso non è che renda la stessa idea. Al secondo posto troviamo " Anvedi" che trovo decisamente "nzarro" e mi fa pensare ai romani de Testaccio che tradotto fa "Wow",  e qui tifo per Wow senza dubbio, che rende il senso dell'espressione tanto in italiano quanto in inglese. " Daje" io personalmente non lo tradurrei con " Come on", sarà che io l'ho usata questa espressione qui come per sottolineare l'ostinazione di un interlocutore X che ribatte sempre sullo stesso argomento, girando in tondo ed io per sottolineare la monotematicita' del suo discorso esplodo in un " Dajè"!!.. Passiamo ora a quelle espressioni talmente curiose e colorite che davvero me fanno tajar per dirla alla romana e sarebbero " sto'na crema", nnamo a fette, me fai tajà. Quella che di gran lunga preferisco è sto'na crema perchè sintetizza in un'espressione efficace e gajarda lo stato d'animo o fisico di una persona che si paragona ad una crema pasticcera appena tolta dalla fiamma in incipiente stato di condensazione, e la crema si sa è bona. Quando l'ho letto ho pensato che un giorno, non so bene quando, vorrei poter pensare e dire che " sto'na crema" indipendentemente da tutto quello che c'è di condizionante o meno intorno, che mi sento come una soffice e profumata crema pasticcera. " Nnamo a fette" mi lascia perplessa, ma un bel pò perplessa, mi verrebbe da pensare " andiamo a fette" traduzione grossolana dal senso improvvisato e so perfettamente di essere fuori pista, ma credere che possa significare " Let's walk" bè mi fa ridere e anche me fai tajà non è di certo male, è casereccio, trasmette efficacemente il senso del divertimento provato. Più semplice ed abbordabile è " "se beccamo", bè a parte quel " se", magari noi lo italianizzamo con " ci becchiamo", " ci si vede, e ci avviciniamo di più alla traduzione inglese " See you". Notiamo, quindi, attraverso questo piccolo manifesto comunicativo, come sia importante la comunicazione, come sia diversa nei mezzi, nel linguaggio, negli slang, nel gergo, e di come sia in fondo profondamente simile, come il filo conduttore della straordinaria macchina comunicativa sia poi lo stesso e lo capisci facilmente quando metti insieme un salentino, un inglese e un romano che ognuno parlando la sua  lingua si capiscono alla perfezione.

lunedì 21 ottobre 2013

A sud del confine. A ovest del sole.

Nat King Cole canta ".. A sud del confine. Ma cosa c'è a sud del confine?.. Cosa vuole dire con quelle parole?.. C'è da rimanerne delusi quando leggendo il testo in inglese ti accorgi che è solo una canzone sul Messico, ma in realtà per tutto quel tempo in cui non lo sapevi hai pensato e ti sei chiesto mille volte cosa ci fosse a sud del confine. Hai creduto ci fosse qualcosa di molto bello, grande e morbido, qualcosa che si può mangiare o toccare. Ti sei figurato nella testa tanti " forse", e si sa i forse sono padroni di un fascino indiscusso perché è una parola magica di cui non puoi prevedere il valore, il forse sortisce un fortissimo effetto calamita e tu ne sei inevitabilmente soggiogato. A sud del confine continua con .. a ovest del sole. Cosa vuol dire a ovest del sole?.. Sono due concetti inscindibili, l'uno abbraccia e presuppone l'altro, sono la metafora dell'esistenza umana, quella di un contadino della landa siberiana, che lavora ogni giorno nei campi e non vede nulla attorno a sé. Ogni giorno quando a est sorge il sole, esce per lavorare, quando è alto nel cielo si ferma a riposare e pranzare, quando tramonta, a ovest, torna a casa e si addormenta. Una vita uguale che si ripete allo stesso modo per anni. Poi un giorno qualcosa dentro di lui muore, muore qualcosa, si spezza perché è inevitabile, qualsiasi cosa che rimanga a lungo uguale a se stessa finisce con l'esaurire a poco a poco la sue energia. Un po' come la vita di ognuno di noi, gli stessi percorsi battuti da anni, ciò che si ripete allo stesso modo, questo sentirsi di essere sempre a ovest del sole, ti fa desiderare quasi dannatamente di scoprire cosa c'è a sud del confine e sei come risucchiato da un vortice che si chiama " forse". Questa è una delle stanze che ho abitato leggendo questo straordinario libro di Murakami Haruki, intenso, crudo e profondo come le emozioni che suscita, in grado di avvilupparti in una lettura avida di sensazioni fino all'ultima pagina. Parlo di stanza, perché quando leggi questo libro, senti quasi di abitarne le pagine, ti da la sensazione di vivere sulla tua pelle ogni scelta dei protagonisti, senti di abitare una stanza. Il protagonista maschile Hajime, quando parla di " a ovest del sole" parla di se stesso, di un uomo sposato con una donna che ama e con due bambine e due locali avviati e noti nel cuore di Tokio, che è felice di fare gli stessi percorsi ogni giorno, che crede di essere appagato, finchè quelle che lui chiama " possibilità o idee" quelle cose che non si possono vedere né sentire vengono fuori da qualche parte e si mescolano dentro di lui, facendolo ritrovare, a un tratto, come quel contadino siberiano a ovest del sole mentre vorrebbe essere a sud del confine. E a sud del confine lui, Hajime si vede accanto a Shimamoto.
Shimamoto era una bambina che Hajime aveva conosciuto a soli 12 anni e aveva inconsapevolmente amato come solo gli uomini bambini sanno fare, senza erezioni fisiche che suggeriscano quell'amore. Perché si sa, con gli anni, (e questa è una mia voluta digressione) quegli stessi bambini che diventano adulti perdono la capacità di relazionarsi con l'altro, perdono con l'altro quell'autenticità nei dialoghi, nei bisogni e nei desideri, smettono di dire all'altro che hanno paura di amare, di esserci, di sbagliare, smettono di manifestare naturalmente le proprie debolezze, smettono di comunicare, si chiudono in se stessi a chiave e a doppia mandata fino a diventare impenetrabili, inarrivabili. In questo modo le persone si restano vicine ma sono lontane migliaia di km. Sarebbe meraviglioso se tu riuscissi a dire ".. ho paura perché da qualche tempo mi sento come una lumaca senza guscio e che quel lui cui lo dici, senza filtri e senza difese che solo gli adulti sanno innescare,  ti risponda ".. se è per questo anche io ho paura, mi sembra di essere una rana senza membrane connettive nelle zampe " e si resta così per un po' a guardarsi negli occhi con le proprie fragilità, nudi, non solo senza vestiti addosso, ma nudi nel senso più vero. Si resta così una lumaca senza guscio e un ranocchio privo di membrana connettiva. E qui la mia digressione finisce.
Ora a distanza di anni, quella bambina che non aveva più visto, ora donna,  si era materializzata nella vita di Hajime come una nuova possibilità, come una tentazione cui era difficile sfuggire, solo che ora le cose erano diverse, lui era sposato e non poteva. E non poteva amarla come avrebbe voluto e desiderato, e qui quasi da colonna sonora due bellissimi pezzi " .. the star crossed lovers " e ancora " Pretend" di Nat King Cole fanno da cornice a questa storia di impossibilità. " Pretend you're  happy when you are blue it isn't very hard to do" . Forse!.. forse no, perché quando si è perduto resta addosso la fame e la sete. Ma dipende, dipende da quanto diventa importante scoprire cosa c'è a sud del confine. Ci sono tante altre stanze in questo romanzo che si ha voglia di abitare e forse, anzi senza forse ve ne parlerò.

giovedì 17 ottobre 2013

Io che amo solo te.

 

Ho finito di leggere da qualche giorno il libro di Luca Bianchini " io che amo solo te" e devo dire che fedelmente alle previsioni delle statistiche sui più letti stilate nel mio blog, l'ho letteralmente divorato. Sono stata attratta da subito dalla copertina, si sa il primo approccio è sempre fisico, dove campeggiano su uno sfondo bianco come il latte due grossi peperoncini rossi e credo piccanti che hanno tutta la parvenza di intendersela, quale rappresentazione più veritiera del salento, di una terra rossa calda di sole. Luca Bianchini ha fatto centro, per quanto di natali torinesi, lo scrittore  ha capito perfettamente quando si parla di Salento cosa si intende. A sottolineare il sapore caldamente salentino del libro una strofa tratta dalla canzone "Estate" dei Negramaro " Il tempo passa e tu non passi mai". E qui l'autore parla di Ninella, la donna amata da Don Mimì, protagonista maschile del romanzo,donna, che per mancanza di coraggio, per l'ostinazione a tutti i costi di mantenere integro il buon nome della famiglia e fare salve le apparenze, Don Mimì perde, convolando a nozze con una donna che non ama, ma che si confà al suo rango. Tema centrale di questa storia che si svolge nella bella Polignano a mare, chicca salentina, dove imperversa furibondo ed ostinato un impavido maestrale in grado di scuotere animi e cuori, è l'amore perduto e mai finito, che diventa una cura costante, che soffocato dalla razionalità e dalla prudenza alimenta una passione mai sopita che esplode in tutto il suo impeto all'occasione più insolita, le nozze del figlio di Don Mimì e della figlia di Ninella, che fidanzati da anni, quasi come una beffa della sorte, si sposano. Ebbene si il destino ha giocato a dadi e ha intrecciato le vite di Chiara, la figlia di Ninella e Damiano, figlio di Don Mimì, dando modo a questa passione a lungo sopita da distanza e silenzi di esplodere più viva che mai. L'amore è il tema principale quindi, intorno al quale ruotano come satelliti tanti altri: questo costume ormai divenuto uno stereotipo nel meridione, di " sistemarsi", di accasarsi, di mettere la testa a posto e trovare moglie, è quello che Don Mimì aveva da sempre ripetuto a suo figlio, che quello che contava era la sistemazione, non l'amore, non l'autenticità di un sentimento, ma la sistemazione. E Don Mimì ha paura di aver sbagliato tutto, di aver portato Damiano all'infelicità insistendo su quel punto, paura che si sposasse più per dovere che per convinzione. Lui, Don Mimì il re delle patate, così lo chiamavano per via dei suoi possedimenti, era un uomo così passionale e forte ma aveva imparato ad esercitare un controllo esagerato sulle sue vere emozioni, aveva speso quegli anni accanto alla moglie a raccontarsi bugie, si era rifugiato nel lavoro, negli affari, pur di mantenere saldo quel controllo, che però perdeva quando rivedeva la sua Ninella. E' tangibile nelle pagine il desiderio di un padre che non vuole che il figlio sbagli come lui ha fatto, tradendo se stesso. E ancora oltre a questa facciata di perbenismo, ai valori a tutti i costi, le apparenze da salvare, perchè Damiano ha un fratello che è gay ma che la famiglia, pur consapevole nasconde, per evitare la vergogna montando una falsa storia con una ragazza di Copertino che prenderà parte al banchetto di nozze, ma che a insaputa di tutti è lesbica. Quindi l'ilarità, la comicità, il grottesco,  di cui alcune pagine sono pregne, la sorella minore di Chiara, Nancy Casarano che vuole perdere i chili di troppo e la verginità un pò in fretta e provoca perchè la irretisca un giovane di bella presenza addetto a fornire prestazioni di tal sorta in un trullo della zona. Il banchetto di nozze degli sposi è un tripudio di piatti ricchi e sfiziosi e altrettanto ricchi saranno i colpi di scena che questo libro vi riserva senza rischio di parsimonia alcuna. Interessante lettura dove Luca Bianchini coglie perfettamente, avvalendosi di una scrittura semplice e fluida, il folclore salentino, la passione, i costumi, i sapori e la fissità di certi stereotipi soffocanti che rifuggono la modernità dei tempi odierni, di cui si è inevitabilmente prigionieri perchè tanto si schivano tanto si è loro avvezzi. Vi lascio con un passo tratto dal romanzo :" Mimì si fece coraggio e, senza neanche guardare sua moglie, si alzò dal tavolo e si avvicinò a quello di Ninella. Lei vide la vita che voleva venire a passi lenti verso di sè."

lunedì 14 ottobre 2013

Fuck you!

C'è una paroletta magica che risolve tutti i problemi, o la maggior parte, che ti cava d'impaccio, che ti fa arrivare all'ultima pagina di un libro mai letto anche se sei solo alla prima, che ti fa nascere dentro una sorta di sollievo inspiegato quando la pronunci, che ti fa vomitare di botto tutto quello che hai detto o solo pensato, che come un cassino su una lavagna imbrattata di gesso cancella tutto, ti mette su on e ti fa ricominciare.
Questa parola qui si chiama " Vaffanculo". La dici a gran voce perchè necessita di volume quando la si pronuncia, non è di quelle parole che puoi dire all'orecchio o a voce bassa, no! Anzi devi dirlo forte, deve risuonarne l'eco, funziona in una stanza spaziosissima e quasi vuota o in macchina mentre guidi con l'autoradio che impazza a palla, togli il volume, chiudi i finestrini e gridi un bel " Vaffanculo" a tutto e a tutti.
A chi non merita la tua presenza, i tuoi pensieri, a chi ti regala la sua sufficienza e lì ti soccorre quasi lo slogan pubblicitario L'oreal".. perchè io valgo" e quindi vaffanculo!.. A chi hai dato senza stancarti e non ha saputo o voluto apprezzare, a chi è indeciso, a chi ha deciso e ha deciso che tu che non sei un buon affare, a chi ha scelto qualcun altro a te, a chi non ti ha dato una possibilità, a chi non ti ha voluto, a chi non ti vuole, a chi ti vuole ma a metà, a chi stai sullo stomaco, a chi ti sta sullo stomaco, a chi non scorderai mai pur avendo la sensazione che lui ha già scordato te, a chi ha spazzato con il suo modo di fare le tue certezze, a chi ti ha preso in giro, deluso, illuso, trattato nel peggiore dei modi, a chi è stato incapace di andare fino in fondo per codardia, per paura, per scarso zelo, a chi solo per un attimo non ti ha fatto provare fiducia in te stesso, a chi ti ha tolto, a chi non ti ha mai dato, a chi ti ha perso, dedica un sonoro, a lui decidere se lo preferisce in versione rock, jazz, funky, pop, classico, balcanico, elettronico, comunque sia sonoro e a volume altissimo che dovrebbe tapparsi le orecchie per non sentirne l'eco fastidioso, dedica dal profondo delle tue viscere, dagli angoli più remoti e reconditi del tuo essere, dedica, fai arrivare, sprigiona, fai emergere dal sotterraneo un grandioso, pazzesco, orgasmico vaffanculo! Restituisci vigore ai tuoi sensi offuscati, svegliati dal letargo della filosofia della sufficienza, considerati meritevole di tutto il meglio che esiste nell'universo e lascia che ti trovi, ma prima, prima di tutto questo, dispensa un vaffanculo con tutta la generosità di cui sei capace e lascia che per una volta la stessa generosità di cui sei stato capace nell'accoglienza eguagli la generosità di un vaffanculo. Si dico a te, interlocutore a caso, consiglio a te di smetterla di frequentare passioni tiepide, e di inseguire fuochi fatui, perchè i fuochi veri sono solo in grado di bruciare fino all'ultimo, non conoscono soluzioni alternative, bruciano, ricambiano nonostante tutto, quindi allontanati, rifuggi con tutto te stesso ciò che non è autentico, licenziati dalle passioni mediocri e incapaci di nutrirti e dissetarti, licenziati con un liberatorio dito medio.

martedì 8 ottobre 2013

Parole e silenzi.

 
Ma quante ne usiamo di parole?... Tante, innumerevoli, per comunicare, per spiegare, per dire. Ma poi per dire veramente cosa? Diventa quasi un bisogno quello di raccontare, di parlare. E' come se a un certo punto avvertiamo quel necessario impulso di svuotarci completamente, e buttiamo fuori parole, semplici, ricercate, le troviamo, le cerchiamo. Sono belli i momenti che hanno parole, sono pieni, ci sembrano pieni, a volte sembrano soltanto, perchè in fondo non è detto che dicano sempre qualcosa, spesso si cade in un inevitabile misenderstood e tante parole dette servono solo a capirsi di meno, a volte invece le perdiamo, è come se ne avessimo tante ferme sulla punta della lingua e non abbiamo il coraggio di farle venire fuori, siamo come bloccati, fermi e forzatamente silenti. Quando accade siamo a disagio, siamo fuori luogo, ci sentiamo inadeguati, non ci sentiamo amati abbastanza, oppure abbiamo da dire talmente tante cose che non riusciamo a farne uscire dalla bocca neanche una. Le parole sono nostre solo finchè restano in bocca, poi quando le lanciamo ai nostri interlocutori, possono essere fiori o sassi, dipende. Bisogna maneggiarle con cura, bisogna contare fino a 10 prima di parlare, bisogna arginare delle volte il fiume della spontaneità ed evitare di dargli sfogo. Il potere della comunicazione è fondamentale, le parole che diciamo possono costruire e distruggere, e in un certo qual modo finiscono per rappresentarci, magari in modo errato. Forse sono più fortunati perchè più cauti, ma inconsapevolemente, quelli che ne usano di meno, che praticano di più l'arte del silenzio con se stessi e con gli altri, forse coltivano campi migliori e rapporti migliori, forse. Ogni parola si veste di un significato e viene percepita dall'interlocutore cui è destinata, magari con un significato diverso, il silenzio che invece dovrebbe o potrebbe, per certi versi, risultare più ambiguo, perchè potrebbe vestirsi di "un mi manchi", di "un stammi lontano", di "un aspetto l'occasione giusta", di "un è meglio così", bè in realtà ha percezioni chiare e inequivocabili per il destinatario che lo sa leggere.
Io sono innamorata delle parole, le uso, le scrivo, sono innamorata dell'impatto che hanno, sono piene di energia, sono comunicative, sono cariche di espressione, e quando le uso mi sento libera, mi sento appagata, e subito dopo svuotata, i silenzi mi pesano, spesso. Non avere nulla da dirsi è la più triste delle cose, parlare con frasi confezionate, è come non parlarsi affatto, a quel punto lì meglio i silenzi. Però quando sono da sola, invece, accade una cosa piuttostro strana, quel silenzio che coltivo con me, lontano dal chiasso delle parole, mi cura, e avverto quanto è, o può essere prezioso non dar voce alle parole. A volte, non so se capita a voi, ma io ho quella sensazione di usarne tante davvero, come una dipendenza e dopo averle usate, però, è come se mi pentissi, e penso che in quel momento un silenzio mi sarebbe tornato forse più utile. Sono due bisogni strani, le parole e i silenzi. Quando parli tanto ti svuoti e ti liberi, è come se restituissi sollievo ad una parte di te che avverte quel bisogno, quando sei in silenzio metti ordine, sistemi le cose, metti a posto i tasselli, lasci che quel caos interiore che hai dentro si rimetta a posto da sè, ci mette del tempo, forse tanto, ma fa un ottimo lavoro.

mercoledì 2 ottobre 2013

Solo una Kinder fetta al latte.

E' arrivata l'insonnia, pare che ad ottobre si desti anche lei e girovaghi per le case della gente, ha una predilezione per le camere da letto, ti si avvicina, ti grida all'orecchio qualcosa, delle volte sussurra e basta, altre, quando è più nervosa, ti punge.
Mi ha appena punta e non c'è stato verso di riprendere sonno. E' come una dannata puntura di zanzara, fa male, pizzica forte. E' arrabbiata, è senza pace, non mangia da giorni e gira senza posa. Le ho consigliato di aprire il frigo e di prendere ciò che vuole, ma lei vuole solo parlare con me. Ha fortuna, io non dormo più e ho un libro sul comodino fermo alla stessa " orecchia" da giorni, fermo alla stessa sottolineatura dallo stesso giorno. Dice questo il breve periodo che ho rimarcato ad inchiostro nero ".. se si potessero cucire le ferite con ago e filo come si fa con gli strappi nella stoffa, le cure sarebbero più sopportabili". E' un pensiero di Isabel Allende in Inès dell'anima mia, è anche ora un mio pensiero, acquisito, ma anche mio. Forse lei ha ragione, mentre la pelle te la cuciono, soffri, poi però quando le due estremità sono state riprese vicine con ago e filo, quel filo che le tiene insieme, poi cicatrizza e viene tolto via quasi facilmente, ne basta sollevare l'estremità di un punto e lo sfili via e la pelle resta unita, la pelle dello strappo. Alcuni strappi dentro restano strappati, e la pelle resta distaccata dall'altra, la ferita resta aperta e basta che il ricordo ci torni sù per vivificare la ferita col sale. Le ferite dell'anima sono tagli nel sale, bruciano, poi le curi, solo poi. Bè dovevo pur dire qualcosa alla mia ospite indesiderata, che è arrabbiata senza possibilità di fugare quella rabbia. Mi ha fatto una domanda, è quella stessa domanda che le ruba la pace da giorni, sta andando in ogni camera da letto possibile nelle case della gente a farla, l'ha fatta anche a me. ".. perchè la gente non si da una cazzo di possibilità, una che sia una, quando qualcosa di bello bussa alla porta"?.. Io la guardo e non so che dire perchè questo suo interrogativo esistenziale alle 4 del mattino mi spiazza, cosa devo dirle?.. Mi verrebbe subito, senza nemmeno pensarci, di dirle che è perchè quella cosa che lei crede così bella, forse per la gente di cui mi parla non lo è davvero, altrimenti mai al mondo se la lascerebbe scappare una fottuta possibilità in questa vita così effimera. Poi mi verrebbe da dirle ancora, forse perchè manca il coraggio, forse perchè ci sono persone che si assumono il rischio delle cose, come me, che quando qualcosa di bello viene a bussare, bè faccio un tale casino per vivermela, che l'insonnia non si immagina neanche, lotto disperatamente per strapparmi quell'emozione e cucirmela con ago e filo sulla pelle. E poi le dico che può essere anche perchè bisogna rispettare la propria natura, ci sono uomini da porto e uomini impavidi da mare aperto. Lei mi fissa come per farmi capire che non mi segue nei miei ragionamenti, e ribatte che la vita è una straordinaria, meravigliosa, fantastica occasione per far muovere il cuore e tenere a bada la ragione. Io sono d'accordo con lei, smetterei di mangiare anch io per giorni per avere ragione, ma la ragione non serve. Le ho suggerito di mettersi il cuore in pace e di smetterla di arrovellarsi, che c'è sempre una ragione, ma che non è quella che importa. Importa il modo che la palesa, e ce ne sono tanti di modi, alcuni sono solo sbagliati. Le ho detto di prendere una kinder fetta al latte dal mio frigo, se ne fosse rimasta più di una, e di tornarsene a letto, non mi piace la faccia che ha, ha la fronte aggrottata, gli occhi gonfi di pianto e si danna perchè non può dormire, senza trovare una risposta alla sua domanda. Io le ho detto che la penso esattamente come lei, che quando qualcosa viene a trovarci, e te la trovi lì, quell'emozione, inaspettata, e forse dietro la tua porta da sempre, bè devi lasciarla entrare, devi trovare il vento che gli spalanchi la tua porta, altrimenti tornerai a guardarti indietro sempre. Io lo so trovare il vento e se non c'è lo scateno, vado da Eolo e mi faccio annunciare. Le occasioni della vita hanno bisogno di vento, non importa quanto durino, non lo saprai mai se non te le vivi, perchè sono quell'energia pura incontaminata, senza spazio e senza tempo, che rifugge le logiche e i piani, che ti cura e non ti serve l'ago e il filo. L'insonnia è arrabbiata, ed ora che mi ci ha fatto pensare, svegliandomi, lo sono anch 'io. Le ho suggerito di prenderlo quel volo e di andare dall'altra parte del mondo per vedere cosa c'è, di farlo, di non stare più a pensarci e le ho suggerito anche di voltare le spalle decisa a chi non trova vento per lei, di andarsene via. Non lo so se lo farà, credo che abbia paura, credo che abbia la testa dura più della mia, credo che si aspetti che quel vento la segua, io questo non posso saperlo, però. Sono certa di una cosa, che stamattina prima di andare in studio berrò solo il caffè, non la troverò la fetta al latte, l ha divorata lei, credo ne fosse rimasta solo una.

lunedì 30 settembre 2013

Play a song for me.


E' una strofa di un repertorio rock tratta da una canzone folk di  Bob Dylan "Mr Tambourine man". E' targata 1964 ed è figa. Io sono una con l'anima  un pò rock, lo sono da sempre, e certe cose non posso che apprezzarle, ma stasera voglio leggere nelle strofe di questo testo un altro significato. Del resto ogni cosa assume un significato diverso a seconda degli occhi con cui la si guarda.
Mi piace pensare che sono io quella vagabonda che una sera di un giorno che verrà chiederà ad un fantomatico Mr Tambourine di suonarle una canzone. E credo che non lo interromperò mentre suonerà e canterà per me, avrò orecchi solo per la sua voce e le sue note, mentre la notte starà per terminare e ci sorprenderà un jingle-jangle morning E credo che mi sentirò a casa. Mi sono sentita poche volte a casa con una persona, sono cose che capitano di rado, ti senti libera, stai bene, senti che puoi solo essere te stessa. Bè a me va di pensare che una sera di un giorno qualunque che verrà mi sentirò così, e questa vagabonda dimenticherà il dolore dell'oggi fino a domani. Ecco come stravolgere un manifesto del rock condendolo di nostalgia, speranza, attaccandogli addosso un viaggio suggestivo tra sogno e realtà!
« Ragazzi, in realtà il "Tambourine Man" è lo spacciatore medio del Greenwich Village a New York che si gira tutti i club del quartiere: entrato in uno di questi, si siede al bancone ed inizia a battere le nocche ritmicamente sul bancone, e questo è il segnale per far capire che ha la roba. Il cliente gli si avvicina e gli fa "Hey, Mr Tambourine man, play a song for me" per far capire che è interessato, e quindi risolvono l'affare. 
Ora chi è davvero Mr Tambourine man? Colui che suona una canzone ad un vagabondo e gli restituisce un sogno sottraendolo al dolore dell'oggi o lo spacciatore medio di Greenwich Village?  Lo saprò quella sera di un giorno qualunque che verrà, forse, se lo incontro.


domenica 22 settembre 2013

Arancio di fuoco.

 
Il mio blog si tinge d'arancio, non l'ho deciso io. Il mio cammello rientrato dal Sahara. Si è raccontato molto oggi, e per quanto arrivato venerdì, langue di nostalgia. Ah l'amore che danno!..
Questo tappeto di foglie arancio che arreda il mio blog, mi rimanda ai tramonti infuocati sulla riviera di Levante, tramonti che ho ancora negli occhi, quella riviera, dove scorgi il profilo della Calabria, lontana e così vicina che ti pare di toccarla, dove il sole annega nel mare e lo tinge di energia e di colore. Mi catapulta nell'autunno, pare sia autunno da ieri, e già un pò si sente sulla pelle, il sole oggi picchiava un pò, ma era una carezza lieve mitigata dal vento. Arriva la stagione del maglioncino che ti scalda perchè il sole non lo fa più, la pelle la copriamo dietro strati di stoffa e ci scaldiamo un pò, forse ci proteggiamo anche. L'abbronzatura si lava via, quello che ti è rimasto sulla pelle, no! Le foglie presto cadranno e avranno l'esatto colore del mio blog, si tingeranno di giallo, d'arancio, di rosso rame, si staccheranno dagli alberi. Gli alberi saranno più spogli, le foglie mancheranno. Riprende l'appuntamento fisso col libro sul comodino, per tappare parentesi di giorni lunghi senza quella luce solare che spalanca il cuore, riprendono le corse in camporella al mattino prima di andare a lavoro, riprende l'Ipod fisso alle orecchie con la musica sparata a palla, quella che ti fa svenare, sognare, o semplicemente ballare da sola, in palestra mentre corri sul tappeto, o in casa mentre ti eclissi dal mondo. 
Riprendono le corse in tribunale, i giorni spesi in studio a scrivere e a studiare, i miei impegni creativi, pause di diletto come bocconi di eternità. La mente in rodaggio già da un pò, familiarizza con i miei post-it, i miei pezzi di vita colorati attaccati all'agenda, alla scrivania, sul p.c. E la vita si colora d'autunno, tanti libri da leggere, tanti impegni scanditi in inchiostro, scadenze e partenze.
E poi se langui di nostalgia, corri al mare e ti rubi un pò di energia, lo respiri a lungo mentre furioso ti parla, e quello che ti dice lo capisci solo tu. Il mare ti risponde, sempre, è quella musica naturale che ti arriva dentro e ti da le risposte che cerchi, ti tira fuori tutto quello che non vuoi e ti tocca dove nessuno sa.
Silente o furibondo ti parla senza voce. L'arancio del mio blog sa di passione, di una passione d'autunno, quella che spero di trasmettere a voi, che io sento viva quando scrivo, che pulsa forte, in quest'autunno di più! Perchè la passione è una sostanza purissima che ti nutre le cellule, che ti fa fare solo cose buone, che ti fa dare il meglio in tutto ciò che fai, che ti accende come una torcia, che ti fa salire addosso una febbre, la più bella che possa venirti, la  voglia di vivere fino all'ultimo battito.

giovedì 19 settembre 2013

L'eterna lotta tra il vecchio e il nuovo.



Pare ci sia un posto in una zona remota della scatola cranica, piccolissima ma profonda come una grande voragine, un buco nero, che ha un nome che non è scientifico, e che risolve, credo, la maggior parte dei problemi dell'esistenza umana. E li risolverebbe, si li risolverebbe, se solo non facessimo avanti e indietro da sto posto qui, perchè lì in fondo ci buttiamo tante cose che sedimentano, magari cose in cui abbiamo creduto, cose in cui abbiamo sperato, cose in cui speriamo ancora, cose cui non abbiamo voluto dare un nome, persone, persone che abbiamo considerato sbagliate, persone con cui abbiamo diviso qualcosa, vissuto, litigato, amato, creduto di poter amare. Pezzi di vita che buttiamo in questo buco nero, pezzi di vita che abbiamo etichettato come "rifiuti", che abbiamo deciso di buttare via proprio lì nel dimenticatoio, per svariate ragioni, non ci hanno convinto, ci hanno deluso, non sono funzionali al nostro presente, sono come l'aria fritta, dopo un pò sfumano, non hanno consistenza, non hanno motivo di appartenere al nostro presente e benchè meno al nostro futuro. Però per una qualche strana ragione noi torniamo in quel posto, e riprendiamo qualche pezzo di vita lasciato lì a sedimentare, lo riportiamo alla luce, lo facciamo pesare di nuovo nella testa, lo riviviamo, e ci crediamo ancora, forse perchè la voglia di credere in qualcosa, che comunque sia, ha fatto parte della tua vita, anche se per poco, che ti ha fatto emozionare, vibrare come una corda di violino tesa, quella voglia lì resta forte. Ed è questo l'errore, l'andirivieni dal dimenticatoio.
Possiamo aprire la porticina di quest'angolo della testa, guardarci dentro e lasciarci annegare un pò di sana o insana nostalgia, ma poi richiudere la porta e lasciare tutto lì. Cambiamo continuamente, cambiano le cose intorno a noi, ma dobbiamo permettere loro di cambiare, e un modo per farlo è dimenticarsi del dimenticatoio. Dobbiamo abbracciare la consapevolezza che se abbiamo deciso di cestinare delle cose o delle persone, dobbiamo lasciarle lì, perchè anche se le tiri fuori dal cilindro o si tirano fuori da sole, potranno solo costituire un'ulteriore delusione, le persone non cambiano, sono capaci di darti esattamente quanto ti hanno dato prima, semmai rincarano la dose.
C'è una legge di natura che noi umani, forse per trastullarci, per il gusto di sfuggire al tedio, per gioco, per egoismo, ignoriamo e lo facciamo volutamente. Quando qualcuno, qualcosa non ha funzionato, e ti ha dato un'anticipazione di quello che può darti o non può darti, se non è quello che ti serve non ha senso alcuno riprovarci, raccattare questa cosa qui e incerottarla, ricomporne i pezzi come si fa con un vaso rotto, e lo stesso vale per una vecchia anfora di inestimabile valore, le cose rotte restano rotte, gli abiti consunti restano consunti, potrai ricucirli, rammendarli ma il rammendo sarà visibile e prima o poi la stoffa cederà e farà ancora più male vedersi le spalle scoperte. Se facciamo delle cose, non le facciamo perchè in quel momento siamo incapaci di intendere e di volere, siamo ubriachi pesti, deboli, o perchè abbiamo un cedimento strutturale, ma cediamo, lo facciamo perchè c'è qualcosa che non funziona, solo che la paura di guardarsi dentro è folle, e quindi si preferisce continuare a tenersi il vaso rotto e a fare maggiore attenzione affinchè non cada dal tavolo. Io non credo ai rammendi, non credo ai pezzi che si ricompongono, io credo alle opportunità, credo all'energia di qualcosa, credo che serva coraggio per buttare via qualcosa, ma credo anche che quando lo si fa non si debba tornare indietro. Ho cambiato la serratura al mio dimenticatoio, l ho chiuso a chiave bene bene e il chiavistello è pesante, di ferro grezzo, ho buttato via le chiavi. Per un bel pò di tempo non voglio andare a guardarci, voglio guardare avanti, dritta all'orizzonte. Dimenticate, dunque! E' un passo avanti verso il nuovo che vi viene a trovare, perchè il nuovo è energia, potenzialità, forza, qualcosa che non conosciamo, che potrebbe essere la soluzione ai nostri vasi rotti che ci ostiniamo a ricomporre. Se poi qualcuno o qualcosa dovesse riuscire a trovare le chiavi del tuo dimenticatoio e a tirarsi fuori da lì, bè dovrebbe essere davvero molto speciale.

giovedì 12 settembre 2013

Tormentone Peppa Pig.

Studi accurati e fior di statistiche rivelano che quando una bimba/o non ha la tua attenzione è perchè guarda in tv o sull'ipad della mamma, il cartone, pare,  più famoso del pianeta.
Ebbene si i suoi curiosi occhi sono attratti a mò di magnete da una vispa maialina tutta rosa e assai caruccia, che ho scoperto chiamasi Peppa Pig e dalla scoperta, neanche le Americhe, la mia curiosità ha fatto le bizze e varie volte, di proposito ho guardato insieme alla mia piccola, questo grazioso animaletto alla presa con le sue avventure.
Ogni singolo episodio pare durare un quasi nano secondo, in realtà sono 5 minuti, ma arriva la sigla e non te ne accorgi nemmeno. E' un cartone made in England, felicemente approdato in Italia nel 2010 e narra in dei minuscoli cortometraggi le vicende di una buffa maialina di 5 anni, della sua famiglia, mamma Pig, papà Pig e George Pig.
Tanta fantasia mi verrebbe da dire.. per i nomi dei componenti della famiglia Pig, ma fosse altrimenti credo non sarebbe così originale. Mamma Pig fa la casalinga, è molto attenta e premurosa e lavora da casa col suo p.c., papà Pig fa l'architetto, mangia di continuo ed è distratto spesso e volentieri, George Pig è il fratellino minore, convive con un dinosauro giocattolo e qualsiasi cosa gli venga chiesta tranne che non abbia come risposta la torta al cioccolato, risponde sempre " dinosauro". Poi ci sono i nonni e gli zii Pig come in ogni famiglia che si rispetti, e intorno alla famiglia centrale ruotano gli amici, miniature curiosissime di ogni animaletto dell'arca di Noè il cui nome inizia sempre con la stessa lettera con cui inizia il nome della specie animale in inglese, tipo Suzy pecora, l'amica del cuore della piccola Peppa, come  sheep in inglese. E poi ci sono Rebecca coniglio, Pedro pony, Zoe zebra e tanti altri ancora.
Negli episodi si snodano le storie della famiglia Pig e di tutti i personaggi della serie cartone in questione, tipo c'è la maestra di Peppa, Madame Gazzella, il dottore Orso Bruno che cura gli abitanti della cittadina quando sono ammalati, insomma tante curiose e se vogliamo attuali, quotidiane vicende si susseguono in questa telenovela mediatica che ormai sta diventando un fenomeno in tutti i sensi. Quando qualcosa funziona diventa un business ed è quanto accade a Peppa Pig, si vende di tutto che porti questo nome, zaini, quaderni, giocattoli, peluche, teli mare, astucci, portasaponi, ho visto davvero di tutto, patatine, caramelle, piccoli monili, bicchieri. Insomma imperversa il business targato Peppa Pig, e questo c'era da aspettarselo. Ma quello che mi sono chiesta è cosa abbia di così straordinario, educativo, inimitabile la maialina rosa che un qualsivoglia altro cartone non possa eguagliare? Sta forse per sbaragliare la tanto famosa Hello kitty?.. bè se non l'ha già fatto credo sia sulla buona strada!!!
Peppa col nome che si porta dietro, a dir poco goffo, ha conquistato anche gli adulti. A loro dire questo cartone sarebbe molto educativo, io personalmente ritengo che l'intercalare del verso di un maiale così educativo non è, ma se le statistiche mi smentiscono, che dire W peppa e i maiali del mondo. Poi per quanto mi riguarda potrebbe essere un serio danno, considerando il fatto che hobby prediletto di peppa e company è saltare nelle pozzanghere di fango, fare versi buffi, dispettucci e combinare disastri, bè una mamma che si ritrova un pargolo già indomabile di suo con peppa all'orizzonte sul suo schermo tv avrebbe solo da imprecare. Ma c'è un grande " Ma" che oscura questi lati non educativi del cartone in questione, perchè si da il caso che questi episodi narrino oltre che vicende di dispetti, bagni di fango e marachelle, di storie dove risaltano valori inossidabili e sacrosanti, l'amicizia, la famiglia, lezioncine di vita quotidiana dove spiccano insicurezze, debolezze, errori che possono verificarsi di sovente nel quotidiano e che poi hanno un lieto fine con tanto di insegnamento, un pò come le fiabe tanto amate dai bambini. Ecco che Peppa Pig è la fiaba che approda in tv, con tanti scenari colorati e vivaci, capricci e insegnamenti. Quindi lasciamoli pure davanti alla Tv questi cuccioli d'uomo, ciò che giunge loro agli orecchi e alla vista arriva dritto dritto ai neuroni che non si sa cosa possono partorire di lì a poco, sono motori splendidi di planetaria intelligenza. E badate bene che potrebbe accadere che un giorno la vostra piccola vi chieda di portarla nell' Hampshire dove è stato da poco inaugurato un parco giochi a tema, il peppa Pig world. Io ve l ho detto, siete avvisati!