venerdì 1 novembre 2013

Amputazioni.

Oggi è festa, o almeno così pare. Non si lavora, sul calendario la data è in rosso e pare ci sia scritto su "Ognissanti" o tutti i Santi, per me è buona la prima. In genere in questo periodo non sono al massimo della forma, è come se una lieve e dolce malinconia mi vesta, sotto sotto i vestiti, non la scorge nessuno, forse, è silenziosa e per certi versi tiene anche compagnia. Non ti accorgi quando ti arriva, la senti dopo quella presenza lì, per certi versi indesiderata. Oggi il sole dovrebbe essere caldo, ieri il cielo era avvolto dalla nebbia, era come se si fosse bevuta case, strade e persone, e quell'umido ti entrava fitto nelle ossa, quindi oggi c'è il sole sicuro. Poi qui nel Salento siamo fortunati, la temperatura è mite e dolce e il mare è ancora accogliente. La cosa bella di una passione è che tu non te ne congedi mai, neanche quando come oggi è festa. Sono quei bisogni che non ti danno tregua, che ti arrivano e ti investono inarrestabili, come la scrittura, come quella fame di scrivere, di imbrattare un foglio bianco riversandoci tutti i pensieri, quelli più strampalati, quelli più banali, quelli più assurdi, vomitandoci su una parte di te che ha voglia di vomitare da qualche parte che non sia un cesso. Sto pensando alle palme, alle amputazioni delle palme. Ne ho viste tante amputate, spegnersi lentamente, e lasciare spazio ad una nuova visuale dove lo sguardo si disperde. E' come se si aprisse, si spalancasse un orizzonte nuovo, dove c'era prima quella palma, una "pinco" finestra che da sul mondo, una finestra che nasce da un'amputazione, un processo irreversibile che ti impedisce di scorgere la bellezza di un nuovo orizzonte. Bè per quanto oggi sia un giorno in cui i Santi si festeggiano tutti insieme ed è l'onomastico di tutti, di tutti quelli che hanno un nome che sia di un Santo, anche di tutti quelli che santi non sono, io non riesco a non pensare a domani, alla mia ancora fresca amputazione, ad una persona che ho amato tantissimo e che ora che non c'è più sento di amare il triplo. Le cose le apprezzi veramente quando le perdi, quando non le hai più, se non vagheggiandone il ricordo, ricordo che in un attimo può riempirsi di tutta l'intensità di cui si è capaci e allo stesso tempo svuotarsi. Quando continui, malgrado l'assenza a pensare a qualcuno, è un pò come se non se ne fosse mai davvero andato. E poi lascia che dicano, ma in fondo capita, è la vita, è un processo naturale e irreversibile, non te ne importa nulla di quanto dice la gente, pensi solo alla tua amputazione. Pensi a quel paesaggio, come lo chiamava anche De Silva nei suoi cimiteri spontanei, inevitabilmente modificato dalle amputazioni che hai subito. La vita è davvero un soffio e l'unica cosa per cui vale la pena di vivere è l'amore che hai verso gli altri e verso la vita stessa, perchè è una sola ed occorre che egoisticamente la si viva bene, ci si concentri tutt'intorno di quelle persone che ci scaldano in un rigido inverno più di un pullover di lana, di quelle persone che ti regalano un sorriso, un abbraccio, una stretta di mano, che ti tengono nella loro vita, in un qualche modo, ti tengono e occorre invece liberarsi di coloro che non ci vogliono tenere per scelta. Lo so è un post triste questo, non è di certo il post di Ognissanti, è un post che grida alla mancanza, a quei pezzi che mancano, che ci mancano, a quei puzzle irrisolti e che forse resteranno tali,  alle amputazioni che abbiamo subito per scelta degli altri, per un processo naturale ed inevitabile di cui non ci si convince mai abbastanza. Quello che ne viene fuori è un paesaggio modificato da finestre che si sono aperte su un orizzonte, che si vedrà quando saremo pronti a vederlo, non prima.

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