lunedì 3 dicembre 2018

UN' ALTRA PELLE



Qualche volta capita che cambi pelle. Sembrerebbe un procedimento semplice semplice, ti liberi della tua vecchia pelle, come un serpente che si scuoia della sua superficie squamosa e viscida esterna e la abbandona da qualche parte, sul terreno, per la strada, e tu osservi questa pelle morta, senza vita, una pelle che però è stata una vita per un bel pezzo di vita. Pare accada un pò a tutti, anche le aragoste a un certo punto restano nude, senza esoscheletro, senza armatura, vulnerabili, perchè si liberano con forza della struttura che ricopre la polpa e si nascondono sotto la sabbia, per non essere vittima di aggressioni, di pericoli, di agenti esterni, di pesci voraci, si nascondono per non morire, ma in realtà stanno già morendo alla loro vecchia vita, a quell'armatura che ormai sembra quasi ostile, di cui per continuare a vivere, bisogna liberarsi, bisogna morire a se stessi, perdersi, per ritrovarsi, per riconoscersi, per appropriarsi di un'altra pelle, la seconda, forse non l'ultima, forse non quella definitiva.
Si rinasce solo dopo che si muore. E' un dolore cieco, sordo, lancinante, attraversa tutte le membra, e le lascia stanche, attraversa la testa e la svuota come la riempie di tanti pensieri inutili, gonfiati, che gonfiamo con lo stesso nostro fiato dell'inutilità, senza sosta, e senza tregua, per riempire spazi vuoti, per orientarci nei vicoli ciechi, per ritrovare la bussola che ci conduce a noi stessi.
Bisogna perdersi per ritrovarsi, per sentire di appartenere veramente a se stessi, scevri da condizionamenti, paure instillate, insicurezze maturate, costruite, insinuanti e dolorose, ci si perde, ci si perde in un dolore che non si può spiegare con le parole, che non ha colore, e ha un sapore salino, sa di tutte quelle lacrime versate, che sono cadute come rivoli veloci perchè la strada era già tracciata, e sono morte lì sulla bocca, una bocca inerme, aperta ad accoglierle. Si muore, si muore dentro, ci si scontra ogni giorno, ogni attimo, ogni minuto, con la propria fragilità, con quella vecchia pelle, che ti vuoi tenere addosso a tutti i costi, perchè la conosci, perchè ti conosce, perchè te la sei portata appresso una vita, e vaghi alla ricerca sempre di quella, ostinatamente, anche se scopri che si sta scollando via via, per lasciarti nuda, vulnerabile, insicura nel mondo, ma tu.
E mentre questo processo avviene, tu sorridi e continui a respirare, a dilatare il diaframma, mentre la tua pelle va in pezzi, senza sangue, tu respiri e respiri e ti senti avvolta nel grembo materno, ti senti al sicuro, in tutto quel buio e non smetti di respirare, mentre la tua pelle lentamente si scolla, ti scuoia e tu la osservi staccarsi a lembi, e respiri.
A un certo punto sai che con tutto il dolore che possa comportare, la lascerai andare, perchè è così che si cresce, spogliandosi del vecchio e accogliendo tutto il nuovo che ci attende, che è nuovo e che come ogni cosa nuova, entusiasma e poi spaventa, respinge, e poi spalanca un soleggiato orizzonte, ed è per quell'orizzonte che continui a lottare, senza fermarti e muovi un passo dietro l'altro, e a quel passo, forse incerto, ne fai seguire un'altro ancora e poi ancora, step by step, fino a quella luce che ti apre l'orizzonte più bello che tu abbia mai visto e ti acceca con tutta quella luce, che in fondo ti sei sempre portata dentro, come una guida sicura, che ti ha preso per mano e ti ha permesso di incedere nella nebbia, di cadere e di rialzarti più forte.
Ti sei riconosciuta, solida come di ferro, come una quercia con le radici radicate nel profondo della terra, quelle radici dove nell'immaginario ti rifugi al riparo della tempesta, ti sei riconosciuta flessibile, morbida, adattabile come un giunco e sei andata avanti a volte spedita, a volte a tentativi, forte come una quercia e dolcemente adattabile come un giunco.
Si muore per rinascere. Forse è così che ci si salva, in fondo, si procede per tentativi, imboccando strade senza indicazioni, per fare meravigliose scoperte, su se stessi, su quanto si è in realtà determinati, forti, donne.
Si muore per rinascere. E continui a respirare e lasci che quel respiro che ti dilata il diaframma ti conduca alla vita, ti mostri nuovi scenari che poi tutto sommato non fanno così paura.
Si muore per crescere, anche solo un pò.
Manu. 

venerdì 3 agosto 2018

Il termofeliciometro

Oggi il cielo è plumbeo. Il sole sta giocando a nascondino già da un pò, non ha voglia di farsi trovare, se ne sta accoccolato dietro qualche nuvolone soffice e se la sonnecchia. E' Agosto, in realtà dovrebbe essere in pieno servizio, e invece si è preso un giorno di ferie, meritate direi, nei giorni scorsi era alto nel cielo e fiero di espandere tutto il suo bollore.
Oggi voglio parlarvi di un argomento interessante, di certo lo troveranno interessante i più che capiteranno per gioco o per diletto, o anche solo per sbaglio su questo blog di una annoiata avvocatessa che ad agosto, è ritornata ad onorare il suo blog, a imbrattare questo cyber spazio virtuale con le sue strampalate idee, con i suoi pensieri, insomma l'intento è di certo quello di allietare le vostre giornate, magari spese, come oggi in un ufficio, divagando su un blog, il mio.
Subito dopo l'estate pubblicherò il mio primo romanzo, e il senso di felicità che questo pensiero mi muove è totale. Non ho mai provato un senso di felicità totale, io, si l ho provata in alcuni momenti/periodi, e ha avuto un impatto talmente forte, intenso, che si è rarefatta dopo poco, perchè ormai lo sappiamo bene, ciò che davvero conta, non è questa " felicità" che pare essere un concetto sommo, inarrivabile, una chimera, qualcosa che esiste e poi sfugge.
Si comporta quasi come una donna che la sera prima te la da e poi diventa irreperibile. Felicità puttana, che dura un minuto, ma che botta ti dà. Quindi torniamo alla serenità, dovendo darne una definizione, è quando ciò che pensi, ciò che vivi, ciò che desideri, si pongono sullo stesso asse, e tu quasi di pensieri non ne hai. Ma non ne hai per quanto?.. Neanche questa emozione, che ti fa rilassare le spalle, dilatare il diaframma, sentire come in un calcolo quasi matematico che i tuoi neuroni sono allineati, te li figuri che danzano su una base di Mozart, per poi lasciarsi cadere in uno stato di catartica evasione. 
Questa è la serenità, tutto va bene, o sembra andare, i pensieri sono in ordine, le cose della tua vita sono in ordine, entrate e uscite, bilanci, emozioni, insomma sembrerebbe funzionare, fino al prossimo tsunami, fino alla prossima emozione.
Non ho mai avuto grosse pretese, io. Mi sono fatta bastare la serenità, ma solo qualche volta, perchè mi è bastato poco per convertirla rapidamente in noia, perchè le cose normali, routinarie, mica tanto ci piacciono, prediligiamo gli tsunami, le emozioni. 
Fatto sta che, meglio bruciare al fuoco che spegnersi al tepore di un cerino. Bella filosofia. 
Ciò che conta, a mio parere, aldilà della serenità, dei momenti minuscolini, come li definiva Totò di felicità totale, è stare bene lì in fondo, dove c'è quella parte di noi, che a causa delle contaminazioni esterne, circostanze, eventi, cause, si incasina e si incasina di brutto e in men che non si dica, si perde in un labirinto senza mappa e più si affanna, più la mappa non la trova.
La felicità non esiste direbbe il pessimista, la felicità è in ogni cosa, basterebbe considerare ciò che ci accade come un regalo, un dono inaspettato. Io oscillo come un pendolo tra l'ottimismo e il pessimismo, senza trovare nella realtà dei fatti, quel benedetto equilibrio che siede nel mezzo e si ciondola, godendosela, perchè lui davvero se la gode un sacco. Il termometro di questa pozione magica, di quest'intruglio benefico che noi chiamiamo felicità, a volte si abbassa, si abbassa tanto, cazzo si azzera, quasi, e tu gli corri a perdifiato appresso, come a un amante che ti ha sedotta e abbandonata e non ti vuole e tu non ti capaciti del perchè. Non ti capaciti del perchè questo benedetto termofeliciometro si abbassi, non te ne fai una strabenedetta ragione, e pensi ad ogni rimedio possibile per far alzare il termometro, come se quasi dovessi far quadrare i conti.
Poi, di punto in bianco, dopo che ti sei affannata, hai sbattuto contro tutti i muri possibili, muri che hai costruito da sola abilmente, nella tua caparbia testolina, perchè sei quasi ossessionata da questo termometro che è sceso, dal fatto che non ti senti più la stessa, e continui a chiederti come cavolo eri prima.
Non lo sai. La verità è che l'unico modo per stare ad osservare questo feliciometro salire e poi scendere e poi risalire e poi riscendere, è accettarne la naturale, fisiologica oscillazione, accettare che ci sono periodi in cui sta a zero, tu continui a vivere e a respirare, ma ti senti a zero, e ti muovi per inerzia, e ti aggiusti, ti sembra soltanto, l'anima per andare in fondo alla tua giornata che non è scandita da punti fermi, ti aggiusti quando in realtà vorresti andare in un solo posto, affanculo e mandarci tutti gli altri. Poi il termometro risale, la tua energia a lungo sopita, si risveglia, come una principessa addormentata tenuta prigioniera in una torre sul mare, e svegliata dal bacio di un pirata di passaggio. Ti svegli e ti accorgi che in fondo non devi controllare nulla, non serve prevedere nulla, stare lì vigile perchè i conti tornino, tanto non tornano mai. Le cose della vita, semplicemente, senza troppi affanni, vanno un pò come devono andare, e il termofeliciometro, sale, scende, fa le bizze, vola a picco in alto e ricrolla a zero. Ciò che conta è che tu ci sei, sei viva e in fondo lo sai, che di felicità te ne basta solo un chicco.

mercoledì 25 luglio 2018

La trasmutazione del letame in oro.

" Spalare letame", forse è meglio definirlo con il suo vero nome, "merda", spalare quintalate di merda. E' questo che negli ultimi mesi sta facendo la mia anima e il mio cuore, sta spalando tanta merda. Come se bastasse. Qualcuno ti racconta di te qualcosa che ti rompe dentro, ti apre in due come quando, senza alcuna pietà, un cacciatore squarcia in due metà esatte il ventre di un cervo che ha catturato e gli strappa il cuore. 
Mi sento proprio così io, adesso, aperta in due metà esatte che insieme compongono un conflitto, fomentano il tormento. La paura è il nemico peggiore, la paura che ti scaglia addosso scariche elettriche di ansia e ti lascia senza forze, ti stende, ti mette ko.
Oggi ho letto un articolo che si chiama " la trasmutazione del letame in oro" e ho pensato che voglio assolutamente farlo, che voglio trasmutare queste palate infinite di merda in oro colato, solo che non so come farlo, è come se avessi le mani legate, dietro la schiena, come se qualcuno mi avesse rapito e legato le mani strette, in una stanza senza luce.
Come si fa a far mutare la merda in oro?.. Da dove diamine si parte?.. Da questo momento, da questo unico, irripetibile momento, che dovrebbe mettere a tacere il tormento, sciogliere quel nodo che serra l'anima e scatena il pianto. Forse vivere ogni giorno spegne il tormento, affondare ogni giorno e risalire doma il conflitto. Credo che si chiami empasse, cazzo quanto ho sempre odiato questo termine, che non sembra neanche appartenere alla lingua italiana, " empasse". 
<<Cosa ti inventi nell' empasse, mentre ti sembra di morire, di diventare una cosa inanimata, una cosa che non respira più, nella morsa dell'ansia>>?.. Niente, sopravvivi, sperando che con te in piena sbornia emotiva lo facciano i tuoi neuroni.
Che reggano allo sconquasso emotivo, a tutto questo irrisolto che tinge la tua vita, la tua fichissima, strameravigliosa vita, che lo era in ogni cosa, in ogni battito, in ogni respiro, e tu, cazzo, hai scritto tanti post su questa vita meravigliosa, che ti sorprende, che ti stupisce, che ti avvolge, che ti accarezza, che ti concupisce, hai scritto km di inchiostro, senza smettere mai di decantarla, quella vita che anche quando hai perso il bandolo della matassa, hai smarrito il filo del gomitolo di Arianna, bè ti ha sbattuto, sempre, inevitabilmente in faccia, la sua magia, la sua bellezza.
Poi, l'empasse, a un tratto sul sentiero, sulla strada, sulla tua, tanta merda, quintalate, e di quella che puzza, che si attacca sotto le suole delle scarpe e ti incolla al pavimento e lascia le impronte.
Ne senti il tanfo, tutto intorno a te, e ti chiedi da dove arriva, quali mandrie di vacche grasse te l'hanno lasciata lì, ammassata sul sentiero, e hai paura.
Che resti lì, che ti resti attaccata alle suole, che resti sul tuo sentiero. Forse c'è che hai bisogno di aiuto per spalarla via tutta, ti serve una squadra ben equipaggiata, e poi una disinfestazione seria, di quelle che non lasciano scampo a creatura alcuna, ti serve.
Ma la trasmutazione del letame in oro, non so, non riesco davvero a capire come si possa fare.
Si parte, forse, dal vedere quella merda, non poi così merda, non poi così putrida, così puzzolente, si parte da qualche parte per arrivare da qualche altra parte. 
Forse è necessario cambiare qualcosa, prima che qualcosa cambi te, ma cosa?
I fiori, le piante, gli alberi sono lì piantati sulla terra, i petali, le foglie, le fronde si agitano al vento, si bagnano sotto la pioggia, conoscono le intemperie, le rigidità del clima, la siccità, il freddo, il gelo, la neve, ma resistono, non fanno nulla, forse respirano e basta.
Che farebbero davanti a vagonate di merda?
Forse la trasmuterebbero in oro!