domenica 24 novembre 2013

L'impiccione viaggiatore.

 
C'è una categoria di gente su questo pianeta che rimane ferma lì incastrata nel primo tratto esofageo, è come un boccone indigesto, non scende, è una categoria che commettendo un errore grossolano di valutazione, spesso annoveriamo tra gli " amici" o amici apparenti, che ti scrivono, ti cercano, fanno solo finta di amarti, ma in realtà vogliono solo farsi una buona forchettata di fatti tuoi. Si chiamano impiccioni, sono quelli che vogliono affondare un pezzo di pane nel fondo del tuo piatto e inzupparlo ben bene, poi una volta raggiunto l'intento, tu potresti anche semplicemente sparire dalla faccia della terra, poco importa se ti hanno rapita gli alieni, se ti sei trasferita su Marte, o ti sei eclissata in un fottuto angolo del mondo, non ci sei più. punto. Occorre però fare una ben netta distinzione onde evitare di cadere in errore. Quelli che abitualmente finiamo per considerare amici o amicizie sono salde conoscenze e buoni rapporti annodati per qualche circostanza del caso o beneficio, sono quelle persone mandate dagli dei o dal cielo, a lenire le nostre cure, a darci una spalla in prestito sempre comoda su cui poggiare la testa, sono quelli che ti fanno sentire un pò di calore con un gesto, con un messaggio, con un sorriso, sono quelli con cui riesci a farti la migliore chiaccherata della tua giornata a volte anche in silenzio, quelli che ti guardano e sanno già cos'hai, quelli con cui puoi anche restare in silenzio e capirti comunque, quelli che anche se sono materialmente distanti da te non lo sono mai abbastanza per non esserci. Sono la tua mano destra o quella sinistra, io sono di sinistra, quindi scelgo quella, e so dire con certezza che i miei amici li conto sulla sola mano sinistra, giusto alcune dita, e poi scattano le gerarchie inevitabili, pollice, indice, anulare e mignolo. Eh... salto appositamente il medio e lo rifilo agli impiccioni, a quelli che non ti dicono ciao come stai, cosa pensi, che fai, che messa così potrebbe anche risultare un interrogatorio, ma è un terzo grado di rispetto, di amicizia, di cura. Invece alla categoria " dito medio" che annovero sulla mano, solo per dedicarglielo sto dito medio,  ci sono quelle personcine che vogliono solo capire come fila la tua vita, se hai un compagno, se guadagni abbastanza, se sei uscita, chi hai incontrato, e bla bla bla...e le riconosci subito, perchè per quanto di fatto non gli importi un fico secco di te, ti sciorinano un pò di graziosi appellativi che vanno dal tesoro, amore, e tu pensi nel nano giro di un secondo che mai nella vita hai mangiato nello stesso piatto e non ti fermi a riflettere nemmeno sul perchè di questo affetto gratuito che ti viene dispensato. Ora, è una categoria che esiste e non è che possiamo farci niente, però trovo di cuore che se la gente riuscisse a occuparsi delle proprie faccende e non facesse un corso per ficcare il naso negli affari tuoi, forse i suoi di cazzi ne trarrebbero anche qualche sano beneficio.  Il cattivo tempo di oggi funge da molla per riuscire a farmi esprimere in inchiostro quanto penso, soffro di metereopatia delle volte, oggi però sono contenta di questo disturbo metereopatico, quindi cari impiccioni del pianeta, ogni tanto disintossicatevi e fatevi na buona portata di fatti vostri che pare campiate di più.

martedì 19 novembre 2013

Un'altra stanza in "A sud del confine e a Ovest del sole".

Ed ecco che entro in un'altra stanza, pian piano, quasi assaporando il passo, sentendo la consistenza del mio piede che incede seguito dall'altro sul pavimento, e conosce nuove pareti, una nuova luce che filtra dalla finestra, una nuova musica nell'aria, e anche in questa stanza c'è musica, c'è il jazz, nella voce di un musicista drogato o disturbato, ringraziato da un buon whisky, che in un lungo assolo di Embraceable You mi travolge con un esecuzione sconvolgente.
Ed è lì, a sud del confine e ovest del sole. Io sono ancora in quelle pagine, ci ho lasciato l'anima in quelle righe calcate d'inchiostro, come ogni buon libro che si convenga di amare. E' una nuova stanza, capace di regalarmi ancora, sempre, forti emozioni.
Tutti vogliamo essere travolti dalla forza di esecuzioni coinvolgenti. Nove volte su dieci si rimane delusi, ma la decima volta si arriva ad avere un' esperienza sublime, che è poi quella che tutti cercano. Ed è questo che muove il mondo, questa è l'arte. Pare che tutto, proprio tutto, prima o poi finisce, tutto ciò che è visibile scompare con tale facilità, però ci sono delle emozioni, che restano per sempre. E poi ci pensa una nota jazz a risvegliarle, una pioggia battente, un silenzio assordante intorno. Del resto una nota sublime, un'esecuzione sconvolgente non si può dimenticare, esplode in un grido sordo, più è il silenzio che la precede, più è l'assenza di esecuzioni coinvolgenti e più feroce e sconvolgente è il tuono. Non può esserci travestimento che possa alla lunga nascondere un'emozione dove l'abbiamo confinata per amare o solo per amarci, nè fingerla dove non c'è. E' solo in vista di quell'esecuzione sconvolgente che conserviamo la speranza che tutto ciò che è tangibile e presente possa dissolversi senza farci troppo male, perchè in mezzo a questo deserto, che Murakami Haruki rivede in tutto ciò che si vive ed è intorno, che per un ciclo fisiologico e naturale vive e muore, in quel deserto ci saranno, nel mezzo, un bel pò di fantastiche esecuzioni, si spera, che dureranno un giorno, un mese, un anno o pochi minuti, ma che vale la pena aspettare. E quanto aspettare?.. Nei libri, nei film, l'attesa è un concetto fittizio, non c'è attesa, o meglio non v'è traccia di ciò che può fare all'anima e al corpo l'attesa. Compare una scritta ".. tre mesi dopo"... " 3 anni dopo"... " 7 mesi dopo".. il tempo non sembra avere sapore, quel sapore che ha inevitabilmente  nella vita, in una quotidianità priva di sconvolgenti esecuzioni, dove ogni giorno, bello, per carità, sempre, perchè respiri, l'aria ti arriva dentro ai polmoni,  e i tuoi occhi sono aperti e sei viva, e già questo di per sè un miracolo, ma senza sconvolgenti esecuzioni, quelle che ti bagnano di pioggia dalla testa ai piedi, ti pompano l'adrenalina al cervello, ti fanno vibrare l'anima come le corde di un  violino  sfiorate da un archetto quelle esecuzioni lì, ti rendono quell'attesa di una nuova esecuzione più sopportabile, perchè te la riportano davanti agli occhi e te la fanno rivivere nella mente più volte, e quella nostalgia poi muta in speranza di una nuova sconvolgente esecuzione. Quel tempo d'attesa di giorni, mesi, anni, condito di nostalgia e speranza, scorre sopportabile finchè qualcosa che non controlli, che non puoi addomesticare, perchè è primordiale e selvatico irrompe e cerca quell'esecuzione. Insomma in " A sud del confine e a ovest del sole" c'è una nuova stanza, la stanza del deserto,  (deserto di Walt Disney, allusione metaforica) dove entriamo e ci sediamo comodi in poltrona in un attesa più o meno sopportabile, più o meno nostalgica, più o meno felice di un'esecuzione sconvolgente, subito dopo la quale, pensi che potresti impazzire senza.
<< Mi era rimasto ancora nella mente il contatto con la sua lingua morbida che avevo appena sfiorato per farla bere. la vista di quelle labbra mi toglieva il respiro, non riuscivo più a pensare a nulla.Lei mi desidera, - pensai, - e anch'io la desidero>>. eppure riuscii a resistere, dovevo fermarmi a quel punto.Se fossi andato oltre non sarei più potuto tornare indietro.Ma potevo sopportare ancora tutto questo sacrificio>>?
Io lo so come andò, vi invito a scoprirlo. 

lunedì 11 novembre 2013

Il santo dei desideri alcolici.

 
Credo che questo qui possa definirsi " un primo vero giorno d'inverno, l'aria accenna ad essere più fresca, piove a dirotto da stamattina all'incirca e la luce, quella luce che ti spalanca gli occhi e poi i neuroni, bè quella luce lì pare stia venendo meno. C'è plumbeo tutt'intorno. Il mio blog resta a galleggiare nella vastità di questo azzurro mare, lo lascio lì a goderne ancora.  Oggi qui si festeggia San Martino, il santo generoso del mantello e quindi a fiumi scorrerà del buon vinello, nelle case, al caldo di un primo fuoco che conforta, nei locali, ma comunque sia con gli amici e tra gli affetti. Pare che il vino sia l'elisir della dimenticanza, bevi e bevi fino a stordire la mente e il cuore. Pare, è una teoria! Ma sappiamo bene che per ogni teoria che professa qualcosa c'è n'è sempre una pronta a sconfessare la precedente e via dicendo. Per la teoria che vi si contrappone il dolce nettare degli dei a gran sorsate, farebbe ricordare, e non solo ricordare qualcosa che magari hai sepolto in fondo alla memoria, ma ti farebbe vedere tutto come realmente è, ti mette in faccia la verità di una cosa, quella che per non ferirci e non ferire dimentichiamo. Io non so quale teoria sposare, so come mi sento io quando bevo, quando alzo un pò il gomito e mi lascio consapevolmente stordire dagli effluvi alcolici.
Restare sobri tiene alta la soglia di attenzione sulle cose che abbiamo intorno, tiene all'erta il controllo delle situazioni che viviamo, ci tiene in equilibrio sul nostro filo, e siamo al sicuro da ciò che può essere pericoloso, scomodo, imprevisto. Restare sobri ci mantiene sul filo e ci tiene a galla. Bere ci fa mettere un piede fuori dal filo, nel vuoto, ci fa smettere di esercitare sempre un controllo sulle nostre emozioni, ci toglie dal sicuro e ci fa guardare in faccia quella che è la verità delle cose, del resto " in vino veritas" è un'espressione sacrosanta. Siamo bugiardi cronici, quando ci raccontiamo la telenovela che abbiamo dato sfogo a un qualche desiderio, abbiamo mandato un messaggio che non dovevamo, abbiamo fatto una telefonata che non era giusto fare, abbiamo cercato qualcuno che non è cosa buona e giusta cercare, ci siamo concessi un desiderio come una debolezza o un errore, siamo cronici, malati di bugie che nascondiamo nell'alcol, nell'aver bevuto un pò, e ci diciamo e ci raccontiamo che se non avessimo bevuto, non l'avremmo fatto, sapendo che è solo una grande bugia che funge da alibi di ferro, ma che in realtà fa acqua da tutte le parti, perchè non siamo mai così sinceri e veri con noi stessi e gli altri, come quando beviamo un pò di più. Basta dire, non ti avrei scritto se non avessi bevuto, non ti avrei baciato se non avessi bevuto così, che tutto improvvisamente torna in ordine, tutto rientra sicuro.  Ora non è che perchè oggi è San Martino, io sto qui a incitarvi a bere, a cercare la verità, a cadere nel vuoto, a stordirvi, a dimenticare o a ricordare, nulla di tutto questo, non è di certo un monito all'alcolismo, però io so che quando bevo tutto quello che ho depositato, curante o noncurante in fondo all'anima, riemerge in superficie, quasi come mi trovassi in fondo in fondo al mare con addosso un gav che mi riportasse di colpo con la testa fuori dall'acqua, il processo di emersione è immediato, solo che io non sono negli abissi e non ho un gav, ho solo bevuto un pò. Insomma un buon bicchiere di vino, come dicevano i nostri nonni, fa buon sangue, ti mette il sorriso, ti si spalma sulla lingua e sul palato e ti inebria i sensi quel poco che ti serve per vedere questo mondo un pò come lo vuoi tu, capovolto e a colori. Bere un buon bicchiere di vino ti fa fare un viaggio con le emozioni su on, poi quanto alzare il gomito dipende da te, da come ti fa sentire, da come ti peggiora o migliora quei detriti depositati sul letto del tuo fiume. Bando alle ciance e alle teorie, buon San Martino a tutti, a chi avrà accanto chi desidera per condividere quel brindisi e a chi bevendo un pò di bicchieri vi troverà quel desiderio nel fondo. Avete tante scuse oggi per scrivere a chi amate e non potete avere, per dichiarare un intento a qualcuno che desiderate, per dire un perdono, per dire un ti penso. Fate l'amore con i vostri desideri stasera, potete, sarete tutti ubriachi e non colpevoli di aver desiderato o osato.

venerdì 1 novembre 2013

Amputazioni.

Oggi è festa, o almeno così pare. Non si lavora, sul calendario la data è in rosso e pare ci sia scritto su "Ognissanti" o tutti i Santi, per me è buona la prima. In genere in questo periodo non sono al massimo della forma, è come se una lieve e dolce malinconia mi vesta, sotto sotto i vestiti, non la scorge nessuno, forse, è silenziosa e per certi versi tiene anche compagnia. Non ti accorgi quando ti arriva, la senti dopo quella presenza lì, per certi versi indesiderata. Oggi il sole dovrebbe essere caldo, ieri il cielo era avvolto dalla nebbia, era come se si fosse bevuta case, strade e persone, e quell'umido ti entrava fitto nelle ossa, quindi oggi c'è il sole sicuro. Poi qui nel Salento siamo fortunati, la temperatura è mite e dolce e il mare è ancora accogliente. La cosa bella di una passione è che tu non te ne congedi mai, neanche quando come oggi è festa. Sono quei bisogni che non ti danno tregua, che ti arrivano e ti investono inarrestabili, come la scrittura, come quella fame di scrivere, di imbrattare un foglio bianco riversandoci tutti i pensieri, quelli più strampalati, quelli più banali, quelli più assurdi, vomitandoci su una parte di te che ha voglia di vomitare da qualche parte che non sia un cesso. Sto pensando alle palme, alle amputazioni delle palme. Ne ho viste tante amputate, spegnersi lentamente, e lasciare spazio ad una nuova visuale dove lo sguardo si disperde. E' come se si aprisse, si spalancasse un orizzonte nuovo, dove c'era prima quella palma, una "pinco" finestra che da sul mondo, una finestra che nasce da un'amputazione, un processo irreversibile che ti impedisce di scorgere la bellezza di un nuovo orizzonte. Bè per quanto oggi sia un giorno in cui i Santi si festeggiano tutti insieme ed è l'onomastico di tutti, di tutti quelli che hanno un nome che sia di un Santo, anche di tutti quelli che santi non sono, io non riesco a non pensare a domani, alla mia ancora fresca amputazione, ad una persona che ho amato tantissimo e che ora che non c'è più sento di amare il triplo. Le cose le apprezzi veramente quando le perdi, quando non le hai più, se non vagheggiandone il ricordo, ricordo che in un attimo può riempirsi di tutta l'intensità di cui si è capaci e allo stesso tempo svuotarsi. Quando continui, malgrado l'assenza a pensare a qualcuno, è un pò come se non se ne fosse mai davvero andato. E poi lascia che dicano, ma in fondo capita, è la vita, è un processo naturale e irreversibile, non te ne importa nulla di quanto dice la gente, pensi solo alla tua amputazione. Pensi a quel paesaggio, come lo chiamava anche De Silva nei suoi cimiteri spontanei, inevitabilmente modificato dalle amputazioni che hai subito. La vita è davvero un soffio e l'unica cosa per cui vale la pena di vivere è l'amore che hai verso gli altri e verso la vita stessa, perchè è una sola ed occorre che egoisticamente la si viva bene, ci si concentri tutt'intorno di quelle persone che ci scaldano in un rigido inverno più di un pullover di lana, di quelle persone che ti regalano un sorriso, un abbraccio, una stretta di mano, che ti tengono nella loro vita, in un qualche modo, ti tengono e occorre invece liberarsi di coloro che non ci vogliono tenere per scelta. Lo so è un post triste questo, non è di certo il post di Ognissanti, è un post che grida alla mancanza, a quei pezzi che mancano, che ci mancano, a quei puzzle irrisolti e che forse resteranno tali,  alle amputazioni che abbiamo subito per scelta degli altri, per un processo naturale ed inevitabile di cui non ci si convince mai abbastanza. Quello che ne viene fuori è un paesaggio modificato da finestre che si sono aperte su un orizzonte, che si vedrà quando saremo pronti a vederlo, non prima.