martedì 6 settembre 2016

SFIORATI

Albaret Sainte Marie, piccola cittadina nel cuore della Francia, era ancora immersa nel sonno di un'estate rovente, mentre il sig. Martin, un uomo basso, dall'aspetto un po' goffo, con la sua barba bianca incolta, apriva, come ogni mattina, Le Rive Droute, il suo caffè.
Con il consueto cerimoniale, metteva fuori, una ad una le sedie, poi i tavolini, ornandoli di fiori profumati e freschi, e lasciava parcheggiata, vicino alla porta del suo negozio la sua vecchia bicicletta gialla col cavalletto.
Ogni tavolo disposto ad arte, aveva un vaso simile di vetro soffiato azzurrino, con un fiore diverso in bella vista, viole, girasoli, tulipani, margherite e rose. Era compito della sua consorte, la signora Gina, andare dal fiorista all'angolo della strada e comprare i fiori più belli per il suo caffè.
Alle 7.30 del mattino, puntuale come un orologio svizzero che spacca il secondo, il sig. Thierry Dupont passeggiava frettolosamente lungo il viale del caffè Le Rive Droute, con la sua ventiquattrore in mano, accigliato e fiero. Thierry era un uomo sui quaranta, alto, moro, con i capelli corvini ancora folti, e due grandi e profondi occhi scuri; aveva un incedere fermo e risoluto, ed era sempre impeccabilmente elegante.
Quella mattina, Thierry si era fermato a bere il suo solito caffè, corto e nero, seduto ad un tavolino di Le Rive Droute, con la ventiquattrore poggiata sulla sedia di rimpetto, intento a leggere il suo giornale. Mentre spulciava, assorto, la penultima pagina di Le Monde, alzato lo sguardo per finire il suo caffè, vide per la prima volta Alina.
Così aveva detto di chiamarsi, Alina. L'aveva detto al sig. Martin, che aveva raccolto la sua ordinazione, e Thierry aveva subito pensato che quello fosse davvero un bel nome.
Era seduta, proprio a pochi passi da lui, segnati dai tavolini del caffè rigorosamente allineati, con le gambe perfettamente accavallate, la pelle bianca come il latte e i capelli castani dorati dal sole, scomposti su un bel viso, senza l'ombra di un trucco; beveva il suo caffè e mangiava con una naturalezza innata, quasi finta, un florido limone giallo.
Ne staccava i pezzi della dura buccia a morsi lenti, fino a consumarla e a succhiarne il succo aspro, onorando ogni tanto la tazzina di caffè della sua bocca.
Thierry intanto aveva dimenticato l'ora, e aveva anche dimenticato il suo caffè, che ormai freddo, ristagnava nella tazzina. Aveva occhi, solo per quell'insolito cerimoniale di bellezza che gli si offriva davanti.
Non c'era più nessuno per il sig. Thierry Dupont, il caffè era gremito e dei ragazzini facevano un gran vociare al tavolino accanto, ma per lui erano di colpo scomparsi tutti, il chiasso del caffè, la gente intorno, la sua ventiquattrore. Restava solo Alina, quella sconosciuta.
Non riusciva a distogliere lo sguardo da quella donna, aveva un corpo magro e tornito, indossava un vestito rosso di una seta leggera quasi palpabile che le copriva le gambe fino alle ginocchia, e che non offriva nessuna generosa scollatura alla vista, era casto, eppure in quella castità Thierry ci aveva visto tanta audacia. Si era perso.
Intanto la sconosciuta aveva finito il suo limone, e lo aveva poggiato sul tavolino, ne erano rimasti pochi morsi, ma forse, per Alina bastava così.
Poi, nello scorrere di un istante, aveva preso con sé la borsa e le sigarette, e si era dileguata, lasciandolo così attonito, immobile, al tavolino di le Rive Droute.
Lei non si era accorta di lui, non aveva visto quell'uomo così attento ad ogni suo gesto, seduto a quel tavolino, era presa da altro Alina, lui, Thierry, era preso solo da lei.
Deluso, lasciò pochi spiccioli al sig. Martin e passò vicino a quel tavolino, dove fino a qualche minuto fa era seduta Alina, cercando di scorgere con lo sguardo, un qualcosa, un particolare, che potesse portarlo da lei, che potesse permettergli di incontrarla ancora, di rivederla. Ma non vide niente. Un mozzicone di sigaretta giaceva solitario sul fondo del posacenere, la tazzina di caffè dove lei aveva poggiato più volte la sua bella bocca, era come abbandonata,relitto immobile su quel tavolino, e adagiato sul sottopiattino della tazzina, quel limone giallo consumato, che fu tentato di prendere e portarsi via, ma subito la ragione gli suggerì che sarebbe stato un gesto senza senso, e lo lasciò li, e riprese il suo incedere fermo ed elegante.
Era più accigliato di prima, il suo passo era più frettoloso e si dileguò anche lui lungo il viale.
Thierry tornò, quasi ogni giorno, alla stessa ora in quel caffè, con quella stessa speranza, e con un ardore sempre più vivo, alimentato dal ricordo, dal pensiero di Alina, e aspettò in quel caffè, col suo solito giornale spiegazzato, ingannando il tempo di quell'attesa gonfia di ogni speranza, intrattenendo conversazioni distratte. Per un lungo mese, Thierry sedeva allo stesso tavolino, e oltre a quei tavolini rigorosamente allineati, alla bicicletta gialla, incontrava solo la sua rinnovata solitudine, e qualche volta bevendo il suo caffè, distoglieva lo sguardo, e guardava fisso quel tavolino vuoto,sperando di figurarsi di li a poco, la donna col limone.