Cosa leggo

Leggo di tutto, quello che è leggibile sul pianeta, io lo leggo. punto. Sono un'onnivora. Divoro libri di ogni genere, fermo restando che c'è poi ciò che mastico più gradevolmente, un pò come il cioccolato, l'amarena in tutte le salse, i frutti rossi.Leggere mi cura l'insonnia, non che mi faccia dormire, mi fa leggere e mi dimentico di dormire, infatti il più delle volte mi resta il libro tra le mani, e poi inevitabilmente il mattino seguente aperto e capovolto lo trovo sul pavimento. Ma qui la storia è davvero lunga. 

Ho letto un libro tra i tanti, di Chiara Gamberale, scrittrice contemporanea, si chiama " Le Luci nelle case degli altri", mi ha colpito subito il titolo, meno la copertina, ci ho sbirciato dentro. Vado subito alla trama quando compro un libro, per capire cosa ci troverò in quel libro e cosa mi aspetta una volta acquistato, l'ho preso senza troppa esitazione. La lettura scorreva via via più curiosa e fluida, mi piaceva sempre di più la vita incasinata ma apparentemente in ordine del condominio di Via Grotta Perfetta 315, che è un contenitore per cinque tipi diversi di famiglie: quella unipersonale di Tina Polidoro, zitella; quella gay di Michelangelo e Paolo; quella basata sulla convivenza di Lorenzo e Lidia; quella giovane e con figlio unico di Samuele e Caterina, con il piccolo Lars; e infine quella tradizionalissima dell’Ingegner Barilla, con la moglie Carmela e i due figli Giulia e Matteo.
Quando l’amministratrice di condominio, la giovane e carismatica Maria, muore improvvisamente lasciando sola la figlia Mandorla, appare una lettera nella quale si afferma che il padre di Mandorla è proprio uno degli uomini domiciliati in quel condominio. Le compagne (o i compagni, nel caso di Paolo: Michelangelo era il miglior amico di Maria), ognuna terrorizzata dall’idea di scoprire che proprio il suo uomo è il colpevole, preferiscono, alla certezza del test del DNA, una situazione di comodo che protegga le loro famiglie: Tina adotterà Mandorla, e la bambina passerà una parte della sua infanzia e adolescenza con ciascuno dei nuclei familiari. Sembra tutto perfetto: l’amore di molte famiglie invece di una sola. Ma Mandorla si sente sempre estranea, diversa dai suoi coetanei, ossessionata dalla paura di Porcomondo, il drogato del quartiere, che nessuno riesce a fugare. Per lei avere molte famiglie equivale a non averne neppure una... Ma quando l’Avvocato insiste affinché Mandorla abbia quello che le spetta di diritto, cioè il test del DNA, la stessa Mandorla non è sicura di volerlo, invischiata lei stessa nella cultura del non sapere. E forse è stata la stessa Maria a confondere deliberatamente le acque, per nascondere una verità che sarebbe risultata troppo scomoda. L'ho letto fino all'ultima pagina, cercando di capire chi poteva essere il papà di Mandorla e tutti i miei sospetti si sono rivelati infondati. Solo leggendo l'ultima pagina si capisce veramente chi è il papà di Mandorla. 
 Maria lascia alla piccola Mandorla una lettera bellissima che più che menzionata, merita di essere letta. Maria non ha fatto le scuole alte ma parla al cuore. A me ha detto tutto.
A Mandorla.





Minuscola come una mandorla. Vorrei trovare per te un nome perfetto, di quelli che le persone quando ti chiedono " come ti chiami"? tu rispondi " mi chiamo così" e loro ti dicono " che nome bellissimo è creato apposta x te".
Vorrei aver studiato di più l'italiano e aver letto tanti bei libri per scriverti una lettera piena delle parole più preziose del mondo, ma a scuola non ci sono mai andata troppo volentieri! Ma proprio una ragazza che conosco, un giorno mi ha detto che " più sai usare le parole, più ti allontani anzichè avvicinarti a quello che vuoi realmente esprimere" Quindi sai che ti dico, sono felice di non saper scrivere bene per dirti quello che vorrei.
Vorrei farti mangiare tutto il cioccolato che vuoi senza che ingrassi (è buonissimo, il mio preferito è quello al latte)
Che se i compagni di classe ti prendono in giro per qualche motivo, tu pensi che sono sbagliati loro, mica tu.
Fare molti viaggi con te, vorrei che non ti ammalerai mai, che non ti spuntano i denti del giudizio, toglierli poi fa davvero male. Che ti piacciono i cappelli come piacciono a me, così possiamo collezionarli insieme.
Vorrei che hai tanti amori, di quelli scemi che fanno girare la testa e ronzare i calabroni in pancia: tutti non fanno che ricordarmi che l amore nella vita non è tutto, e certamente hanno ragione. Ma che ti devo dire? i giorni più felici che ho passato, ( senza contare oggi naturalmente) sono stati quelli che ho passato innamorata. Magari di qualcuno che non ne valeva affatto la pena, ma che fa? Non c è cosa al mondo più bella di svegliarsi in un letto dove non avevi mai dormito prima di quella notte, e pensare: ecco, in qsto momento non mi manca niente. E quindi vorrei che di quel genere di mattine tu ne vivi tante. ma naturalmente, che poi ad un certo punto, trovi la persona giusta, ( giusta x te intendo) Io non ci sono riuscita, ma ancora ci spero. Il problema è che gli uomini rimangono incantati quando allo zoo vedono per la prima volta una giraffa, ma poi a casa preferiscono tenere un cagnolino. E' per qsto che vorrrei che cresci rara come una giraffa in città, ma con l istinto domestico del cagnolino ( che a me è sempre mancato).
Che nei momenti di disperazione non ti viene in mente di invidiare la felicità degli altri, le fortune, i successi, le certezze, i risultati, le luci nelle case degli altri, dappertutto c è del bene, dappertutto c è del male. Vorrei pensarti sempre più forte di quello che potrà capitarci. Insegnarti a cucinare, Vorrei che trovi un amico come per me è Michelangelo, qualcuno che mentre tutto il resto gira e cambia, rimane fermo. Vorrei che leggerai qsta lettera quando ne avrai bisogno, così potrà farti bene come oggi sta facendo bene a me scriverla. Vorrei che litighiamo quel poco che basta per capire che siamo davvero importanti l' una per l'altra. Vorrei che tuo padre fosse un astronauta che cammina sulla luna, ma che pensa sempre a noi, e non un uomo come tanti che abita in via Grotta perfetta 315 e una sera di marzo, forse per noia, forse x curiosità nell'ex lavatoio del 6 piano ha fatto l amore con me. Vorrei vorrei vorrei.


E poi... ho letto Diego De Silva e devo dire che è stato un bell'amore, non grande, intendiamoci, bello.
Ho letto prima " Non avevo capito niente e poi " Sono contrario alle emozioni. Pare quasi che il primo libro faccia la domanda e col secondo ti arriva la risposta, ma questa vuole essere una mia alquanto personale interpretazione.
La nona pagina del primo dice pressapoco questo: " Mi sa che questo è il mio limite: mi mancano le conclusioni, nel senso che ho l'impressione che niente finisca mai veramente", ed io, ovviamente giù a sottolineare, lo faccio con ogni libro che mi capiti tra le mani, sarà per questo che non me li prestano, o fanno fatica a prestarmeli, che poi il concetto è lo stesso, tradotto: me li compro, i libri. Continuando, De Silva aggiunge, che poi non è De Silva che parla, ma è Vincenzo Malinconico, sto avvocatucolo sfigatello ma tanto simpatico, che ti muove all'ironia quasi in ogni pagina, comunque diceva "... Io vorrei, vorrei davvero che i dispiaceri scaduti, le persone sbagliate, le risposte che non ho dato, i debiti contratti senza bisogno, le piccole meschinità che mi hanno avvelenato il fegato, tutte le cose a cui ancora penso, le storie d'amore sopratutto, sparissero dalla mia testa e non si facessero più vedere, ma sono pieno di strascichi, di fantasmi disoccupati che vengono spesso a trovarmi. Colpa della memoria, che congela e scongela in automatico rallentando la digestione della vita e ti fa sentire solissimo nei momenti più impensati".
Insomma Vincenzo Malinconico è simpatico, intelligente, generoso, matto, genuino, un pò Mr Bean, un pò Holden, un grandioso irresistibile filosofo naturale, un grande.
Nell'ordine il primo che ho letto è:
" Non avevo capito niente", già il titolo mi aveva conquistata, sarà che è una frase che spesso mi sono ripetuta anch'io e vederla così come titolo di un libro, bè mi ha convinta. Poi lui, il protagonista, Vincenzo Malinconico è un avvocato e mi sono un pò calata nella parte, alle prese con una clientela un pò bizzarra, con la fine di un amore, e con forse l'inizio di un altro. Le vicissitudini di questo avvocatucolo mi hanno sedotta, dense di un'ironia tagliente e arguta. Questo passo qui, tratto dal romanzo l' ho sottolineato, perchè ho provato a immaginare come potesse sentirsi il legale in questione, nell'ascoltare le seguenti parole <<... non ho capito avvocà ma di che tenete paura? Se non siamo soddisfatti ci pigliamo qualcun'altro, mica siamo fessi che ci teniamo uno che le cause le perde, scusate tanto>>
Al primo che ho divorato d'urgenza, è seguito il secondo, " Sono contrario alle emozioni",
anche da quest'ultimo attratta irrimediabilmente, ma confesso post-lettura che mi è piaciuto di più il secondo.
Decisamente singolare è stato il paragrafo tratto dal capitolo X-files " Tagliarsi la lingua leccando una busta" che descrive con minuzia di particolari, quasi si trattasse di un cerimoniale la chiusura di una busta da lettera e le varie tipologie di buste esistenti sul pianeta terra. E a quello segue " Cimiteri spontanei" dove vi è un'efficace similitudine tra il lungomare della sua città, Napoli, costeggiato dalla quasi totalità di palme mozzate, sottoposte ad amputazioni urgenti, nell'estremo tentativo di salvare il residuo di vita che ancora le sostiene, prima che il parassita che le divora dall'interno completi la sua strage, e le mancanze del protagonista, quelle amputazioni che ha dovuto eseguire e subire, e quindi a come inevitabilmente si stesse modificando il suo di naturale paesaggio, la vita. E sofferma l'attenzione su un corridore tardivo che si ferma fingendo di riprendere fiato, per fissare in realtà il protagonista, e preso da un magone improvviso pensa per un attimo che è proprio lui che guarda il mare a trasmetterglielo.
Mi ha molto colpita questa pagina qui, credo di aver avuto nell'esatto momento in cui la leggevo, la stessa identica percezione dell'autore, le amputazioni della palma e le amputazioni che subiamo o che eseguiamo, magari nostro malgrado nella vita. Già da questo scorcio di romanzo, denso di una pratica malinconica quasi ostentata, si deduce come Vincenzo, l'avvocato ironico e a tratti goffo di cui si parla, sia contrario alle emozioni e lo è in ogni pagina, dove ne è preda e sfugge, tentando di applicare una chiave tutta razionale al suo emotivo, andando a seduta da uno psicologo, percorso tormentato fatto di fughe e ritorni, e nel frammezzo della consapevolezza tutta sua dell'inutilità della figura dello psicoterapeuta. Ma come finirà?... bè lo lascio scoprire a voi, io la mia scoperta l'ho già fatta.

Un mese fa curiosando in libreria alla ricerca di nuove letture, ho scovato un libro, che probabilmente non avrei mai acquistato dal titolo, se non come lettura easy sotto l'ombrellone, per una sola ragione, mi appassiono alle letture impegnate..

Felice di sbagliarmi, Federica Bosco è stata una piacevolissima sorpresa e la protagonista ha una personalità molto interessante. Monica e' fragile, ingenua, intrepida e determinata, ha 31 anni, vive a New York, è cronicamente single e ha un sogno nel cassetto : diventare una scrittrice.
In un unico volume si condensa l'irresistibile trilogia delle sue disavventure, una storia toccante, leggera di sentimenti e desideri tutti al femminile, condita da un'ironia irriverente e frizzante sempre in grado di sorprendere. Monica è una donna arguta, intelligente, che crede di bastare a se stessa, che è così abituata a contare sulle proprie forze e a cavarsela da sola, che puntualmente, forse per paura di poter contare anche su qualcun'altro, un uomo, si infila in relazioni sbagliate e impossibili destinate a non durare, in relazioni amorose dove lo scambio è malamente bipartito, lei da, ma non riceve, o meglio non riceve quanto in amore si dovrebbe ricevere, quindi continua, suo malgrado, forse inconsapevolmente ad elemosinare questo tanto agognato amore, finchè tutto dal caos, quasi naturalmente in un modo del tutto inaspettato prende forma e assume ordine. Questa lenta, sofferta, presa di consapevolezza viene però vissuta con un' autoironia intelligente che soggioga il lettore tenendolo lì attaccato alla lettura, fino a diventarne avido. Le sue vicissitudini amorose, lavorative, familiari vengono offerte al lettore in uno stile generoso di particolari,  di viaggi introspettivi, irriverenza, ironia tagliente, il tutto fa di questo corposo volume una miscela esplosiva fino a giungere al tanto atteso "the end" che non delude di certo, ma vi consiglio di scoprirlo.

L'ordine di disposizione delle mie letture è casuale, non rispecchia in modo alcuno l'ordine reale in cui si sono susseguite, è una raccolta dettata dalla spontaneità del ricordo, e i ricordi non sempre seguono un ordine.
Qualche anno fa mi sono accostata alla lettura di un libro molto interessante, dalla copertina rossa ritraente una foto di un tipo dallo sguardo inquieto e la fronte crucciata, l'autore, suppongo, un tale Mordecai Richler, scrittore e sceneggiatore canadese.
Ero un po' restia ad avvicinarmi a questa lettura, e spinta da pareri positivi di chi mi aveva preceduta nella lettura, per rinfocolare un entusiasmo sopito già dopo l'acquisto, mi ci sono buttata senza starci a pensare troppo, e da lì, da un tuffo scevro da calcoli e previsioni la scoperta!
L'approccio con le prime cento pagine si è rivelato devastante, un ginepraio di flash-back sfuggente ad ogni inquadratura o collocazione spazio-tempo possibile, ero quasi convinta ad abbandonarlo, ma ho pazientemente desistito e tentato di utilizzare una bussola per recuperare trama e personaggi, in un continuo andirivieni tra presente, passato e futuro.  
Devo ammettere che sono contenta di non aver gettato la spugna, è stato un accattivante compagno quel Panofsky, l'autore intendo. Ridevo divertita quasi ad ogni pagina, dopo le prime cento, e poi questo libro qui, emoziona e anche tanto.  Narra la vita strampalata, esilarante, sregolata, fatta di un pò tanto wisky di buona qualità, s'intende, di un certo Barney Panofsky, canadese,  un ricco ebreo, produttore televisivo di successo,  che passati i 60 anni decide di scrivere un'autobiografia ( per dare la sua versione dei fatti agli accadimenti che hanno portato alla morte del suo carissimo amico Boogie Moscovitch) e liberarsi così dell'accusa di omicidio che gli viene mossa nel libro " il tempo, le febbri" dallo scrittore Terry Mclver. Mordecai racconta la vita di Barney, vissuta sempre all'ultimo respiro, fatta di esperienze e incontri straordinari, tre mogli, la prima la pittrice Clara Charnofsky, morta suicida a Parigi, la seconda " ciarliera", frivola e ricca ereditiera, e poi lei l'elegante, intelligente e carismatica Miriam  che Barney incontra al suo matrimonio, e di cui non riesce più a fare a meno, tanto che la insegue quel giorno stesso, abbandonando il suo ricevimento di nozze, sul treno che lei la futura terza signora Panofsky aveva preso per tornare nella sua città. Miriam, il vero grande amore di Barney,"la donna che l'età non può sciupare nè l'abitudine guastare", lei che dopo aver strenuamente corteggiato, inseguito, diventa sua moglie, e lui continua ad amarla in un modo totalitario, assoluto, covando di continuo trappole per gli uomini che le ronzano attorno, uno in particolare, per il quale poi lo lascerà.
Dapprima sventolerà  due biglietti per Parigi, cercherà di convincerla a partire con lui (lei non ci sta, ma le sarebbe molto piaciuto se lui avesse insistito un po’ di più, come scopriamo più avanti). Dopo seguirà  l’invio, a cadenza settimanale, di rose rosse a stelo lungo, e poi finalmente lei accetterà  un invito a pranzo in un bell’albergo di Toronto. E da qui il primo mantra di Barney “Guardale gli occhi, Barney, ma non le gambe o le tette”   Di fronte a Miriam, Barney ha la salivazione azzerata, cerca invano “la battuta fulminante, l’aforisma brillante,  ma quel che gli esce è solo un: “Ti piace vivere a Toronto?”
Miriam e Barney vivranno per molti anni felici e contenti, facendo tre figli, crescendoli, scopando come ricci. Poi lei lo lascerà, ne scopre un tradimento che non nasce per mancanza di amore, ma per l'insinuarsi del dubbio, la mancanza di fiducia, che piano piano vanno logorando il rapporto. Lui è un uomo buono, un uomo che ama davvero la sua donna sinceramente, ma proprio per questa ragione, per cercare di preservare questo amore, finisce invece per  rovinarlo. Diciamo che il perno del romanzo è questo qui, il  resto lo lascio scoprire a voi, come l'accusa di omicidio del suo amico Boogie, ma questa è un'altra storia nella storia. Ho amato moltissimo questo personaggio, è stato difficile staccarmene, abbandonarlo, mi ha fatto troppo ridere con i suoi mantra,  è uno di quei libri che ti resta accanto, un pò come Barney, seduto ad un bar con l'aria sorniona che sorseggia un buon wisky.



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