lunedì 26 gennaio 2015

La mia recensione. La teoria del tutto.




La teoria del tutto. Il tutto spiegato attraverso una teoria, direi che è un gran motivo per sguinzagliare la curiosità e andare a vedere questo film, e godere, affondati nelle poltroncine di un cinema, della magistrale interpretazione di Eddie Redmayne nei panni di Stephen Hawking, brillante cosmologo, definito poi il successore di Einstein. Definisco brillante e magistrale l'interpretazione di questo personaggio, perchè credo nessuno come quel viso avrebbe potuto prestarsi meglio a quella parte. Una faccia molto british, come l'intera cornice del film, punteggiata da lentiggini, occhi minuscoli e chiari dietro un paio di occhiali tenuti sul naso quasi di sbieco, magrissimo e ossuto, quasi goffo, ma con quel sorriso sempre acceso e quello sguardo favoloso, ma proteso alle meraviglie del cosmo, alla scoperta. Vedendo il film, ti sembra di essere catapultato in un ambiente di grandi menti ed esserne soggiogato dal fascino che la mente sprigiona è un attimo, ti accorgi di come tutto ciò che c'è intorno, anche un fuoco che arde nel camino, può essere visto in una prospettiva, come dire, scientifica, e cambiare tutto intorno. Stephen Hawking è il personaggio chiave del film, ironico, sempre sulla cresta dell'onda, anche quando si trascina sulle gambe, che ormai vanno per conto loro, anche quando si ritrova su una sedia a rotelle, anche quando si trascina lungo sulle scale di casa, anche quando percepisce che la donna che ama, che ha voluto fortemente lui, e ha tenuto in piedi quell'amore, una donna forte, caparbia, tenace, a un certo punto non lo ama più, si stanca. Lui non demorde, si reinventa, si arma di autoironia, si rialza, solo metaforicamente parlando. Quando ho colto, la triste sorte che lo attendeva, quasi al principio del film, ho pensato che avevo fatto bene a portarmi appresso i kleenex, e invece, non mi sono serviti affatto, non ho pianto, mi sono emozionata all'inverosimile, si, ma mi è arrivato forte e chiaro il messaggio del film, che esula da formule matematiche, teorie cosmiche e fisiche, pur restandone fortemente correlato, ed è un concetto che approda, un pò, a quello che è il senso comune delle cose e della vita, che dice che finchè respiriamo, finchè siamo vivi, è sempre viva la speranza....... io aggiungo che cose di straordinaria bellezza possano accadere. Un corpo inerme e una mente che a dispetto di quell'infermità, vola, vola alto, vola fino a " a breaf history of time", un best-seller che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. E questo ce la dice lunga, molto lunga, la testa, il fascino di una mente arguta, brillante, favolosa, possono vincere su un corpo infermo. Stephen vive l'amore nella completezza di un rapporto con una donna che lo ama, a prescindere da tutto, è padre di 3 bambini, è uomo di scienza, è una mente che non smette mai di volare "oltre". Due anni di vita, due che diventano, a sfregio delle previsioni, 70, portati bene. Si susseguono scene, dove i dialoghi arguti, brillanti, sono scanditi dai primi piani dei protagonisti, che ti guardano in faccia attraverso lo schermo e ti trasmettono tutto. Provvidenziale l'intervento della madre della moglie di Stephen, che in un ottica tutta inglese, invita la figlia, stremata dal peso della malattia di Stephen e dai figli e dal resto, a iscriversi al coro della chiesa. Ah le madri.. che saggi consigli. Appena entrata ci trova un pastore, a dirigere il coro, dall'aspetto tutt'altro che rassicurante, anzi. Un morone, bello e capace, nella sua inettitudine di turbarla e vincerla nella passione, perchè lei gli cede una notte in campeggio, proprio quella notte in cui Stephen ha un forte attacco di polmonite e viene ricoverato, e dato per spacciato. E qui, mi sono persa, perchè non ho capito, perchè lo salva, mi è quasi sembrato, che l'ostinazione a tenerlo in vita, attraverso una tracheotomia, che lo priverà per sempre della parola, fosse solo un grido della coscienza, un riflesso immediato ed estremo della consapevolezza del tradimento, come se tenerlo in vita la scagionasse. Ma poi non funziona, tra loro, irrimediabilmente, finisce. Finisce, come un ciclo di cose che ha un inizio e una fine, finisce con quella pacatezza e fermezza accompagnata da un liberatorio pianto che commuove, lui la lascia libera, da se stesso, da pesi. Insomma un bel film, che ti tiene lì avida di sensazioni, fino all'ultima proiezione, che ti corteggia sinuoso con i dialoghi e le scene, con un'ironia schietta e scevra da calcolo. E l'ironia è palpabile in alcune scene, una tra tutte, la ricordo bene. E' un dialogo curioso tra Stephen ed il suo amico di corso che mentre sollevatolo dalla carrozzina lo tiene in braccio lungo la scalinata, gli chiede " ... ma questa malattia del motoneurone non colpisce anche quel muscolo lì"?... e Stephen chiede" ... quale"?... ridendo col ghigno.. e l'amico incalza ".. dai che hai capito" e lui fa".. no quel muscolo no"!.. e l'amico sottolinea... " bè questo la dice lunga sulla teoria degli uomini". La teoria sarebbe quella nota insomma, che quel famoso muscolo coi neuroni non ha nulla a che vedere, lì sotto pare abbiano un altro cervello indipendente. Poi velata, ma mai palpabile appare la presenza di un Dio, che prima viene, come dire, escluso, messo da parte, alieno dalla scienza e dalle teorie cosmiche, poi si avverte così forte e viva nella scena della premiazione di Stephen, dove ad una ragazza seduta in prima fila, cade una penna, e lui si vede che si alza dalla sedia e scende gli scalini per raccoglierla... e quest'immagine che per un attimo fa pensare ad un miracolo di Dio, bè viene proiettata e credo, ad arte, incasellata, proprio nel mentre una persona del pubblico, che era li ad assistere alla premiazione, chiede a Stephen se crede nell'esistenza di un Dio. Oh ragazzi, io mi sono piuttosto divertita.

lunedì 19 gennaio 2015

Io resto qui.





La tua mano tiene la mia,
di sottili pieghe rigata
dal tempo. 

tu sei ricurva 
i tuoi capelli sono fini
sembrano fili di argento.

lo stesso bagliore
fisso negli occhi di un tempo
mi tiene qui ancora contento.

urla e litigi, guerre silenti
fuochi che furono
su labbra incoscienti.

 il tempo è fuggito, 
 andava lontano
 io resto qui, ti tengo per mano.







giovedì 15 gennaio 2015

Riflessi.



Questo quadro richiama la pittura figurativa e pittorica, che ha nel Rinascimento, Barocco, Realismo, Impressionismo, Fotorealismo e Iperrealismo, le manifestazioni più varie, dove un fondo materico convive con le figure umane in un processo creativo personalissimo.
E' stato realizzato da un mio caro amico, Fabio Maggio. Il Maggio nasce a Foggia, nel luglio del 75. Descrivere la personalità di questo artista è puro divertimento, sia sotto il profilo umano che artistico. Lui possiede una carica vitale che trasmette a chi gli sta accanto, dal carattere gaio ed estroverso, sembra divertirsi in ognuna delle sue molteplici attività, passando dalle scene di un corto, alla tavolozza dei colori con grande maestria. E' un fervido amante della vita in tutte le sue forme ed un inguaribile ottimista, fermamente convinto del fatto che ognuno di noi è il solo artefice del suo destino e tinge la sua tela a seconda dei colori che attrae col pensiero, in parole povere, i nostri pensieri, altro non sono, che un progetto che demandiamo all'unico artefice possibile, l'Universo. Ed in particolare su questa tela prende forma con estro e talento il pensiero del Maggio. Nel momento in cui l'uomo prende consapevolezza di ciò che è, e di ciò che vuole, diventa padrone assoluto della sua vita, ne diventa il timone, la dirige là dove vuole, e sceglie ciò che vuole essere. Ma prima di approdare a questa consapevolezza, lo aspetta un percorso lento e incerto, fatto di passi avanti e passi indietro, di scivoloni e cadute, per poi maturare quella consapevolezza tangibile, quasi materica, appunto, che è quella di essere ciò che si è scelto di essere, e dimenticare che esista anche solo la possibilità di essere vittime degli eventi della nostra vita. Ebbene, questo è il viaggio intrapreso dal Maggio in questo quadro, dove egli sceglie la donna, con una fisicità sensuale e dirompente, che poco a poco assume forma e contorno, Questa figura femminea che appare quasi scolpita, si delinea  sinuosa e spigolosa in un gioco di chiaro-scuri d'effetto; predominano le tinte forti, un nero energico, quasi calcato ad imbrattare di colore la tela, la scritta che si legge in alto a sinistra è il messaggio del Maggio " Choose your life", scegli chi vuoi essere e sii protagonista della tua vita.
Questa figura di donna, che non ha volto, per scelta del Maggio, per il solo motivo che sta ad ognuno di noi vederci la donna che vuole figurarsi, è quasi graffiata sulla tela, ha lo spessore di un bassorilievo, il colore si accalca denso, grumoso, su se stesso, creando una fisica suggestione materica e chiaroscurale. S'intravede una tradizione figurativa e colta, dove l'impulso all'istinto pittorico prende il sopravvento, da vita ad un blocco plastico, ad un'architettura umana di tinte forti e forme, si assapora osservando il quadro, un'intensa drammaticità evocativa che la donna esprime nell'appoggiarsi al muro che la riflette, perchè il percorso nella consapevolezza è duro e stancante, il suo sguardo però vi è sempre fisso e rivolto, e poco a poco, in un gioco di bianco e nero il profilo assume contorno e si delinea, così come si delinea la sua consapevolezza di donna, che è, sa e può.  La pittura qui è pathos, tensione emotiva, fatica, personalissima armonia delle forme, lotta continua tra la realtà nel quadro e il quadro nella realtà. Insomma il lavoro di Fabio Maggio rappresenta un processo di livello sistemico che inizia con uno stimolo e termina con una risposta : Choose your life! Nella tela il colore ha un ruolo chiave per giungere allo scopo che il Maggio si è prefissato, infatti è di una consistenza tangibile, corporea, ha peso, quantità, spessore, oggetto. Lo spessore tende a dissolvere i contorni figurativi in un'erosione di colore lenta, sfumata, in un agglutinarsi indistinto di colore, materia e figura umana.

lunedì 12 gennaio 2015

Il rossetto.




Coco Chanel che era una che "la sapeva", disse:" Se siete tristi, se avete un problema d'amore, truccatevi, mettetevi il rossetto rosso e attaccate". Bè direi che non avrebbe potuto esprimere meglio il concetto. Il rossetto, questo cosmetico fantastico, rosso intendo, come il fuoco, l'amore, la passione, la guerra, lascia tracce sul boccaglio di una sigaretta, sulla camicia di un uomo dopo un bacio furtivo sul collo, su guance o labbra, lascia una traccia, un segno, il disegno di una bocca. 
Secondo il dizionario etimologico significa " alquanto rosso". Dai Sumeri agli Egizi, alla Roma Imperiale, le donne inventavano i più svariati stratagemmi naturali per tingere la bocca, paste di polvere rossa, diverse specie di coleotteri e il solfuro di mercurio. La prima traccia di trasgressione tutta al femminile, intesa dai perbenisti ecclesiastici un insulto, un simbolo della dissoluzione, prende forma in un bastoncino di terra semisolida sopra un legnetto, e seccata al sole, diventa un valido strumento di seduzione. Parrebbe che la prima donna a subire il fascino di questo magico orpello, fosse stata la bella e dissoluta Cleopatra e poi via via tante bocche di rosso scarlatto dipinte, hanno fatto la storia della femminilità, di quel sex-appeal irrinunciabile. Da Marylin Monroe, la divina, a Rita Hayworth, Elizabeth Taylor, Grace Kelly, Ava Gardner ai giorni nostri. Un semplice tocco di rosso vermiglio, o scarlatto, su una bocca, bè non ti cambia solo l'aspetto, perchè ti valorizza alquanto, mette a nudo la forma della bocca, la incornicia e la rende sensualmente visibile, ma ti cambia dentro. Può sembrare strano ai più, non alle donne, ovviamente, che sanno perfettamente cosa intendo, perchè quando una si tinge la bocca, forse vuole sedurre gli altri, ma nel 99% dei casi, vuole sedurre solo se stessa. Ebbene si, questo qui è un orpello magico, ti seduce. Poi lo consumi come ti pare, baciando, mangiando, bevendo, lo consumi mentre le labbra si muovono, e lo consumi. E invece no! C'è quello che non si consuma, tu sei a cena con qualcuno, mangi, bevi, parli, e non si consuma, le tue labbra come d'incanto restano rosse esattamente come quando 2 ore fa sei uscita da casa. Non ho scoperto l'acqua calda, solo che non mi riesce di capire quale sia quell'intruglio misterioso, che messo sulle labbra resta lì fisso, come se lo scorrere del tempo non gli facesse una piega. Mi piace questa invenzione tutta "chanel", mi piace assistere a questo miracolo della cosmesi, mi piace pensare che c'è qualcosa che resta indelebile, per quanto, non su di me, io apprezzo ciò che si consuma, perchè mi da l'idea di qualcosa che vive ( ma questa è una mia personale opinione). Il rossetto lo metti nelle giornate storte, perchè devi attaccare la vita, come dice Coco chanel, e ti senti quella stranissima marcia in più, perchè nell'esatto momento in cui lo usi, dopo che hai dipinto la bocca di rosso, bè ti senti su on, ed è una cosa insolita, che non ti spieghi, ma accade. E' come se vestisse le tue vulnerabilità. Il trucco o make-up che dir si voglia, è proprio una gran bella invenzione. Pare che una donna non sia mai così attenta e lucida, come quando si trucca guardandosi nello specchio, tutto il resto del mondo mentre si dedica a questa ars amandi scompare. Poi è tutta una questione, come dire, di appartenenza, di sentirsi a proprio agio, nelle proprie vesti, e funziona così anche col rossetto. C'è chi si tinge la bocca decisa e ne fa sfoggio, e appena questo colorante magico comincia a dissolversi, torna alla toilette a rifarsi il trucco, c'è chi la tinge decisa e si scolora la bocca strada facendo, perchè lo trova audace, c'è chi lo usa sempre, c'è chi lo usa di tanto in tanto, c'è chi preferisce una bocca rosa pallido. Tirando le fila, io sono comunque contenta che esista. 

venerdì 9 gennaio 2015

Un pensiero.

La guerra si può fare con una matita, con una penna, con un giornale. La comunicazione può essere veicolo di ideologie estremiste, di politiche personali o di massa, può significare ridicolizzare una religione, un credo, materializzare una provocazione.  Ma una matita, una penna, un giornale non uccidono vite, non mietono vittime, non spargono sangue. Le armi si!!! La guerra e la violenza non hanno giustificazione alcuna. Ciò che si è consumato in Francia in questi giorni, è solo la follia di un ideologia estremista e malata che non ha nulla di umano, di un fanatismo efferato e sanguinario. Sento un profondo senso di orrore, ho orecchi e occhi ancora increduli. Questa ancora una volta è la riprova che non c'è salvaguardia che tenga di fronte a menti malate e addestrate alla morte. Oggi, in uno scorcio di tg, ho sentito la voce della compagna di Charlie, il fumettista ucciso a sangue freddo, che diceva, con la voce rotta dal pianto, che le avevano strappato il suo compagno, l ' amore della sua vita e che neanche tutta quella solidarietà che da ogni dove impazza nel web e nelle strade può darle consolazione e sollievo. Perché al dramma di una nazione, al dramma europeo, si aggiunge, silenzioso, perché non ha voce, il dramma grande, inesploso, delle famiglie delle vittime, di dolori immensi, fantasma, che si annidano in queste storie di terrorismo nazionale ed europeo. Quello di un padre che non tornerà a casa, che non rivedrà più i suoi figli, di una donna che non dormira' più accanto all' uomo della sua vita, che è morto solo perchè disegnava in un giornale. Una lotta tra una matita e un fucile, è una lotta impari. Che quelle anime riposino in pace, e che Dio o qualsiasi entità voi riconosciate come tale, dia ai familiari e cari delle vittime quel coraggio necessario per non morire.

mercoledì 7 gennaio 2015

Have a good game!



Mercoledì 7 Gennaio e le feste Viaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!! bandite. Scrollatina di spalle, sorriso e sguardo puntato ad un nuovo orizzonte. Tante cose da fare, una nuova agenda che fa capolino tra i fascicoli e le scartoffie della scrivania. Si riparte da un gennaio nuovo di zecca. Voglie Letterarie cambia habitus e si veste come una carta da gioco, cuori, quadri e fiori. Io non amo le carte, anzi non ci ho giocato quasi mai, se non in sporadici casi di forzatura psicologica di gruppo, ma mi piace quello che suggerisce questo nuovo habitus, la carta da gioco. La vita in fondo, in fondo, altro non è che un meraviglioso "game" e noi siamo i giocatori, basta giocarla una partita, come ti va, come viene, come sei, senza prendersi troppo sul serio, tra assi nella manica, carte vincenti e due di picche che hai dato e che prendi. Questa è una partita " stronza" ti insegna la lezione e ti fa la morale. Tu ti giochi le tue carte e fai quello che ti senti, senza rimorsi, rimpianti e fregandotene se perdi o vinci. Ciò che conta non è vincere, ma uscire dignitosamente, anche perdente da una partita. Chi lo sa, a volte con l'asso nella manica non vinci nulla, delle volte vinci perdendo. Ripeto è una partita un pò a se la vita, e a giocarci bene, fino in fondo, ti ritrovi con i capelli bianchi e la pelle a pieghe, perchè non avrai mai imparato abbastanza. Ciò che conta è che con le tue belle carte in mano, fai ciò che senti e ciò che vuoi, osi. Questo è il monito che vi fa Voglie. " La felicità è a portata di mano di chi crede e sa osare". E allora fate pure quanto sentite, non c'è nessun giudice a dirvi se è giusto o è sbagliato, ogni cosa è giusta o sbagliata a seconda della prospettiva da cui la si guarda. Siamo concime per i fiori, si spera di quella buona, ma prima di quel game over, abbiamo in mano cuori, quadri e fiori, facciamone buon uso. Have a good game da Voglie Letterarie.