martedì 15 dicembre 2015

Lettera a Babbo Natale.

Ciao Babbo Natale,
Sono certa che sei sveglio come me. Affondi sulla tua seggiola a dondolo, coperto dalle letterine che ieri sera ubriaco di rum non hai più letto, ma solo perchè il sonno ha preso il sopravvento e ti ha colto. Dalla finestra innevata la tua renna fedele ti osserva mentre ronfi davanti al camino, ormai quasi spento col panciotto della giubba sbottonato, le gambe poggiate su un enorme poltrona di raso giallo e i tuoi grossi piedi che affondano in grandi babbucce, che la tua ultima consorte ha lavorato a mano. (peccato che da una di esse si intravede il tuo grande pollicione). Eh ma io ti capisco, son giorni di duro lavoro, chilometri di lettere da leggere, sacchi gonfi di carta sparsi per casa e tanti desideri di grandi e piccini da realizzare. Qualcuno, infatti mi ha detto che tu li realizzi tutti i desideri degli umani, o quasi. Sei talmente vecchio che ormai hai ben capito come funzionano i loro cuori. Tra poche ore ti sveglierai e dopo un abbondante tazzone di latte appena munto, ti concederai ai nostri desideri ad inchiostro. Perché il bello delle lettere che ti scrivono i più, non conoscono tecnologia, perché sono romantiche, nostalgiche, piene di pancia e di cuore, e qui che c azzecca la tecnologia. Una pagina bianca serve, una penna a biro e poi ognuno di noi umani apre sulla carta il suo cuore e ti fa custode di tutti i suoi segreti, di tutti i suoi piu fervidi desideri da umano. Io qst anno non te l ho scritta una lettera, o forse con la mia immaginazione te ne ho scritte tante, ma una paginetta ad inchiostro nero, mi manca. Forse ho un pò di riserve a mettere a nudo il mio cuore, del resto si sa questo ormai sanno farlo benissimo solo i bambini, non libatte nessuno e forse è proprio tutto questo coraggio che li premia, non li batte nessuno ad entusiasmo e candore. Noi grandi, invece siamo più prevenuti, attenti, prudenti, talvolta stanchi di desiderare con la pancia e col cuore, ma nonostante ciò desideriamo. Quando sei un pò cresciuta, come me, non ti importa davvero dell ultimo vestito griffato, della borsa che hai visto in vetrina, delle scarpe?.. ( ops di quelle mi sa che ti importa sempre, se sei una donna come me), ma ciò che vuoi davvero sotto l albero di Natale, bè sono le persone. Quando cresci non desideri cose, desideri persone. Le tue, quelle che la vita ha deciso di regalarti, gli affetti piu cari, quelle persone sempre presenti, che quando fai l appello come a scuola, rispondono sempre " presente" perché sono la. Nella mia lettera, piccola caro Babbo Natale,
prometto che non farai fatica a leggerla scriverò poche righe, tipo queste:
Caro Babbo Natale,
Per quest'anno vorrei trovare la mattina di Natale tutte quelle persone che amo, che siano presenti come in un grande girotondo, e mi sembrerà di aver preso in braccio il mondo. Si perché sarà come esser fermi, eppur viaggiare nei posti più belli del mondo, dai più caldi ai più freddi, perchè le persone restano comunque il viaggio di esplorazione più bello da fare. Se Vuoi aggiungere qualcuno di speciale alla mia lista, fai tu, ti lascio carta bianca, ormai sai cosa mi piace e cosa desidera il mio cuore. Portaci poi un pò di pace in questo pazzo mondo, la gente non capisce. Fa la guerra invece di far l' amore. Altro da dirti non ho, ti aspetto.

mercoledì 11 novembre 2015














San Martino.

La nebbia a gl'irti colli,
piovigginando sale
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mare

ma per le vie del bosco
dal ribollir dei tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar

gira sui ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando
sta il cacciator fischiando
sull'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi di uccelli neri
com' esuli pensieri
nel vespero migrar.

Giosuè Carducci.
 
Voglie Letterarie per augurarVi un buon San Martino, vi dedica questa filastrocca del Carducci che racchiude in sè quello che dovrebbe rappresentare questo gaio giorno. Uno spiedo che scoppietta sui ceppi accesi e l'odore aspro e forte del vino che viene dalle botti ubriache. La nebbia tipica della primavera di San Martino, un immagine quest'anno più fedele degli anni scorsi, le nubi rossastre di buon auspicio che tingono il cielo e tutti quei pensieri esuli che migrano nel vespro. si spera. Mai quadro più bello fu dipinto con i colori più giusti. Il vino scende giù nella gola e inebria i pensieri, copre come un velo di nebbia fitta la memoria, offusca la ragione ed è oblio tutt'intorno. Un oblio legittimo e legittimato per un giorno all'anno. La leggerezza cede il posto al peso di pensieri, responsabilità, impegni ed è subito allegria che con una compagnia complice si sublima. Buon San Martino a tutti amici di Voglie Letterarie. Abbiate cura di questa legittimazione alcoolica e brindate alla vita di ogni giorno.

mercoledì 30 settembre 2015

Ever green.


E' l'ultimo giorno di settembre. Il mio blog si veste di foglie arancio, rossastre, gialle. In realtà anche il mio cuore ne è coperto, è interamente coperto di foglie d'autunno. Ogni tanto sullo sfondo dai colori accesi di questo blog, si scorge qualche bella foglia verde sopravvissuta all'autunno, o forse "evergreen" come quelle cose che non cambiano, chissà! L'estate, la torrida estate con le sue lusinghe d'amore e di sole è ormai alle spalle. Il mare è sempre lì, quell'azzurro che riempie a portata di mano, o meglio di chilometri. Qualche viale si tappezzerà di foglie, cadranno dagli alberi e vestiranno le strade e gli occhi si riempiranno di colori d'autunno e ai più scalderanno il cuore. Comincia a far fresco, c'è il cambio di stagione, si cambia pelle, si cambia abitudini, si cambia, dalla t-shirt al maglioncino. L'estate ha lasciato una qualche traccia sulla nostra pelle e non è l'abbronzatura che pian piano se ne va con l'illusione del sole, è qualcosa di più profondo che magari è destinato a svanire, magari no. Ho letto un libro nel mese di Agosto di Pamuk, il museo dell'innocenza, pagine che gridavano un amore che voleva somigliare un pò a quelle foglie verdi, che voleva essere ever green a tutti i costi, ma che in realtà era passato, come le foglie d'autunno. Pagine dense di amore, della ricerca spasmodica e senza freni dell'amore, pagine che trasudavano di ossessione, di innocenza. A volte speriamo che sia ever green l'amore che incontriamo, vogliamo a tutti i costi che quelle sensazioni provate durino, siano sempre verdi, come le foglie in primavera, e in cuor nostro coltiviamo questa speranza  e la innaffiamo come si fa con una pianta, ogni giorno, perchè affinchè qualcosa duri serve acqua, serve cura, serve dedizione, serve presenza, costanza. Puoi innaffiare una tenera piantina per un mese intero ogni giorno, darle sole, luce, nutrimento, cura, spalancarle le finestre, ma se poi all'improvviso la lasci con le finestre chiuse, al buio, e senza acqua, muore. Muore perchè le manca quella cura che la teneva in vita. A volte, invece, muore e basta. Muore perchè è il ciclo naturale delle cose, le cose vivono, e poi muoiono senza che nessuno possa fare niente per impedirlo. Le foglie d'autunno sono un pò come quegli amori che ingialliscono, che cambiano colore, che mutano nella sostanza e nella forma, che muoiono, ma che ci si ostina a tenere vivi perchè si ha paura di stare senza. E invece quando qualcosa si scopre non essere " evergreen" bisogna trovare il coraggio di lasciare andare ciò che credevamo fosse e non è stato. Ever green suona benissimo, una foglia verde, di un verde smeraldo intenso che brilla tra le foglie morte, brilla come la speranza che non si spegne, nè appassisce mai per il cuore.

venerdì 25 settembre 2015

L'intero.


A volte ti aggiusti ad amare qualcuno, a volte lo ami e basta. Ti capita, come quando esci in un mattino di sole e becchi inaspettata la pioggia e ti bagni da cima a fondo. A volte ti senti una mela intera con un cuore perfettamente integro, la mela è intera, le due metà combaciano perfettamente, sono uno studiato incastro del cielo. E quando trovi, o credi di aver trovato quella metà di te, che ti si attacca e ti si incastra come se tu fossi stata sempre intera, succede solo che ti senti intera e non importa quanto tu ci abbia messo per sentirti così, perché finalmente ti ci sei sentita. E non credi ci sia altra fottuta soluzione che rimanerci attaccata uso ventosa a questa meta', credi che sia naturale come respirare, mangiare, dormire, fare l' amore. Ti risulta normale solo restargli addosso a sta parte perfetta di mela che compone come un puzzle ad incastro il tuo cuore. E pare che serva tanto tempo per capirlo? Dicono. Io non credo, credo invece che hai quelle sensazioni immediate e che non dovrebbero cannarti mai, che ti dicono è questa la tua parte di mela mancante. Finché non pensi di averla trovata, ti puoi aggiustare con un altra metà che non combacia, che non è dello stesso colore della tua, che non ricompone il tuo cuore, ti aggiusti, ti adatti, e lo sai. Ma quando per un pò, per un tempo breve dal sapore di eterno, questa metà mancante che una divinità malvagia ha sottratto ad un intero perfetto, perché delusa dall amore, perché ingannata dal suo amante, ha combaciato con la tua, bè non ce la fai più ad aggiustarti con una mela verde e che non è tonda e rossa come la tua metà persa. Io credo che non ce la fai, puoi provarci a fartela andare bene, la rattoppi con uno spago e tieni le due diverse metà insieme, per un pò, illudendoti che più le tieni soggiogate e ostaggio di un filo più le tieni insieme e intanto quella dea cattiva se la ride perché pensa di essere riuscita nell intento di separare gli amanti, ma sbaglia. Se quelle due parti perfette di un intero hanno combaciato per un pò e poi si sono staccate e volate lontano, a causa di un vento ostile e furibondo, torneranno a ricomporsi. Se una meta' si ricompone alla sua perduta metà per un tempo, non potrà più sottrarsi all'intero e restare legato con un filo di spago ad una mela diversa, non può finire con l'aggiustarsi, marcirebbe. Non capisco chi si aggiusta ad amare.Non lo capirò mai. Da qualche parte c è la tua parte mancante perfetta che non t'aggiusta, ti fa sentire intero. Cercala finché avrai vita, e ne sarà valsa la pena, sempre. Serve tempo, pazienza, coraggio,forse la troverai sul fondo del mare, adagiata su un prato, nascosta nel fondo di un cassonetto e malandata, vicina a un coltello che vuole affettarla, tra le mani di un contadino. Ma se la trovi ed è la tua afferrala forte e non perderla più. 

venerdì 4 settembre 2015

Il mare non attraversa il cielo.

Non conta quanto qualcuno dica di volerti bene. Conta quello che fa con questo bene, conta quello che fa col bene che dice di volerti. Magari dice solo una marea di puttanate, il bene non ferisce, non fa aspettare, non svuota. Riempie sempre. Il bene trova sempre un posto, anche nell ultima fila, è paziente e ti ricarica come una pila con le batterie full. E quando questo bene arriva, sei quasi stanca di tenere la guardia sempre alta, di stare li pronta a schivare le sberle, i colpi, perchè pensi che ciò che è bene, presenza, cura, non te ne riserverà. E li sei fregata, stai per commettere un grave errore, perché prima o poi anche chi ti promette il bene del mondo, ha un coltello affilato nella tasca della giacca. E tu vieni colta alla sprovvista e tac il colpo è sferrato e la ferita è aperta. Si cresce anche così, con le bugie degli altri di cui ci cibiamo per fame di verità. Si da e si toglie, senza fare i conti con la misura delle cose. Si da e si toglie. Si dispensano parole infiocchettate che profumano di buono, di semplicità, di quotidiano, di calore. A volte mi chiedo se la gente di questo cazzo di mondo da un peso a quanto esce dalla sua bocca, non lo da. Il mare non attraversa il cielo. Il cielo e il mare a volte non si toccano nemmeno. Restano lontani, a distanza di sicurezza per non confondersi, per non perdersi. Appartengono alla stessa tavolozza di colori, blu cobalto. E quando ti sei accorta che cielo e mare sono due cose a parte, due entità distinte, te ne vai. Il cielo e il mare pare abbiano qualcosa in comune, l infinito, non arrivano mai in un punto, non arrivano mai a un limite definito, sono infiniti, come il bene, quando non è una bugia.

martedì 18 agosto 2015

La cellufemminite.


Sospiro di sollievo, scrollatina di spalle. Cara la mia femmina sei fuori dal tunnel! La prova costume è andata e anche per quest’anno te la sei cavata, quasi a buon mercato. Hai usato tutte le creme e pozioni esistenti sul mercato, in rima con le possibilità del tuo portafoglio, ogni mattina che si rispetti hai rifilato al tuo stomaco, che ormai grida pietà, quell’intruglio benefico, pare, di acqua tiepida con limone e zenzero, che poi sto zenzero, devi comprarlo sempre fresco, tipo ogni 2 barra 3 giorni o ti si avvizzisce nella dispensa e perde il suo magico effetto! E poi vediamo, finiti quei mesi di palestra, dove per tre giorni a settimana hai seguito il programma stilato per te dal tuo personal trainer e hai fatto scrupolosamente quegli esercizi che mentre li facevi, in quel preciso istante, una vocina, forse proveniente da quel neurone più esposto, imbevuto fradicio di endorfina, suggeriva, “ minchia st’estate avrai un fisico da urlo”, poi proprio così non è stato!!! E allora un altro neurone, quello a cui le endorfine che ti sei sparato gli fanno un baffo, bè sai lui ama la pizza, il pane, la pasta al pomodoro, le focacce della mamma, e le frittate di verdure, e i formaggi, bè quel neurone lì si lascia fare il cazziatone dal collega, e ti urla “ suggeriscono dalla regìa, “ ma se dopo 2 ore di palestra ti spari la pizza, il pane o la piadina romagnola, che t’aspetti”?? Ecco il nocciolo della questione è che finchè in te sarà acceso sto dibattito, finchè nella tua testa se la giocheranno ad armi impari sti neuroni di razze diverse, bè sognatela la fisicata da urlo!!! O segui gli esercizi, vai a correre e mangi frullati di frutta e verdure, verdure al vapore e riso e sushi, manco fossi approdata forzatamente sull’Isola dei diversamente famosi, e allora dopo un anno intenso la fisicata ti da il benvenuto facendoti un bel ciao con la manina, oppure bè devi accettare le conseguenze della tua dissoluta condotta. Un ventre piatto, non tanto piatto, perché durante il lungo e freddo inverno, te sei fatto un po’ di bicchieri, e ci siamo capiti che non intendiamo la collezione di quelli vuoti, no ma solo un drink il sabato, giusto un negroni sbagliato, na birretta, e però la birra ti piace e quanto ti piace e scende giù che è un piacere, e quindi perché privarsene? Tanto poi vado a correre, vado in palestra!!! No! No pain, no gain. Sante parole. A stecco, non si mangia! Poi la domenica a pranzo, bè viene la tua nipotina a mangiare con te, e alla piccola piacciono le patatine fritte e l’alibi è bello che pronto. Mamma quelle patatine e chi le ha inventate, santo subito. A me piacciono quelle belle carnose, la carne di patata è troppo buona, soffice e burrosa, le tieni nell’olio quanto basta e poi le asciughi ben bene e l’ultima strizzatina nello stomaco. E passi per la patata. E la nutella? Che mondo sarebbe nei lunghi e tempestosi inverni senza nutella?.. Ci sono quei pomeriggi d’inverno dove sostituisce la dieta mediterranea. Poi però da maggio in poi ti fai l’abbonamento alle carote, che pensi che da li a poco ti spunteranno i peli su tutto il corpo e lunghe orecchie da coniglio, e quindi dalla patata passi alla carota, cruda, centrifugata, grattugiata, poi associ i caroselli e da maggio in poi pensi che quando metterai piede su una spiaggia vicino alla battigia anche i pesci usciranno dall’acqua per farti la hola!!! Ciao proprio! Non vedrai manco un pescetto. Insomma mia cara femmina o mangi o sudi, e se sudi bè devi mangiare rigorosamente bene, ma tu vuoi mettere quella gioia esagerata che provi mentre addenti un rustico che trasborda di mozzarella, besciamella e pomodoro, così caldo e godereccio, che mentre lo divori pensi che il Padreterno ti ha concesso altri 10 anni di vita a gratis. O quel paninazzo dal camioncino, che divori a morsi golosi senza concederti tregua e dopo pensi Dio esiste ed è qui!.. Io bè care femmine del pianeta a tutta sta roba qui non so se posso rinunciare. Poi arriva quel neurone sparuto, che ti ripete “ devi bere tanta acqua”. Parliamone! Io appartengo alla categoria che se bevo tanta acqua, vuol dire che una bottiglia di 2 litri l ho finita in 2 giorni. Mi sembra quasi na prescrizione medica, dovrei educarmi a bere acqua, poi però mi chiedo, devo sforzarmi a fare qualcosa di così naturale che però per me naturale non è? E perché mai? Io quando bevo l’acqua, lo faccio con moderazione, non lo so, non mi piace il sapore che ha, non sa di niente. Ho quasi paura di annegare le creature dello stomaco e vado adagio, molto adagio. Fatte salve delle eccezioni, sono nel deserto, è estate e bevo a canna dal frigo come se non ci fosse domani. Ma la prescrizione corretta pare sembri suggerire che l’acqua devi berla sempre, ogni giorno almeno 1 litro o 2. Non ce la faccio proprio, però vabè la sostituisco con la birra, i succhi di frutta, le tisane, il vino. Non sarà acqua, ma sempre roba liquida è! Poi una si chiede pure, perché sul suo culo e sulle sue cosce abita un inquilina un poco indesiderata, la ritenzione idrica, alias quasi cellulite, alias la cellulite. Sono certa che dopo aver udito questa parolina qui, care le mie donne del pianeta, siete tutte o quasi sull’attenti, vabè eccetto per quelle stronze, che anche se non bevono acqua, non vanno in palestra, non vanno a correre e mangiano chilometri di schifezze, non ospitano questa bestiolina qua. Perché ci sono, ebbene si, ci sono quelle donne che è inutile mettersi dietro una lente di ingrandimento, non ce l hanno sta roba qua che infesta culi e cosce. E non c’entra mica l’età! E’ proprio na roba genetica, da albero genealogico, mia mamma ce l’ha, io ce l ho. Mia zia no. Cazzo potevo prendere da mia zia. Mi fa sorridere un sacco, la storia dei fanghi e delle creme, una si spende un po’ di euro in sti prodotti qui e pensa che la cellulite è debellata. Si ciao proprio. E vai di domo pack, ti incarti manco fossi na gelatina o un cioccolatino ripieno di fango. Friggi un po’ o congeli da siberia, quindi o stai all’inferno coi tizzoni al culo o al polo nord coi geloni al culo e dopo il sacrificio, bè sono migliorata eh, pensi. Oppure ti stendi sul letto, nuda come una lumaca senza bava, e ti cospargi i punti critici di crema miracolosa, e fai dei movimenti circolari dal basso verso l’alto tra culo e cosce, che a un certo punto ti si rincoglionisce la mano, il cervello tanto se arrivi a fare na roba del genere è già andato. Insomma tutti sti rimedi fai da te, per non parlare degli intrugli, delle compresse di sant’ ananas cell, rimedi palliativi, cazzate. La verità è una sola, se la cellulite decide di puntare il tuo culo e le tue cosce, arrenditi, ma che si tratti di una resa intelligente, quindi la ferma consapevolezza che ce l’hai, che non è colpa tua, che i tuoi avi ti hanno fatto un regalo indesiderato, che in fondo puoi anche amarla, come quella parte sopraggiunta di te e riderci su e sentirti bella e sexy anche se ce l’hai. Ce l'hanno tutte, ce l'ha Scarlett Jhoansson che io la vedo e penso a quanto è bona, sensuale e figa, e sono una donna, ce l ha, ci sono foto schiaccianti che lo documentano. Che poi parliamone, per alcuni uomini la cellulite è figa, li arrapa inevitabilmente. La cellulite fa femmina in barba a chi non ce l’ha. Questa è la mia teoria la cellulite è femmina, quindi proporrei un cambio di nome istituzionale, " la cellufemminite" e quindi quella marcia in più, quel non so che di sex-appeal tutto naturale in baffo al botulino e alle punturine dell'eterna giovinezza, alle liposuzioni. Lipo è bello! Quindi basta nascondere la vostra amica con gonnellini, slip extralarge, mutandoni che vi incartano, pareo, perchè voi non lo sapevate a cosa servono sti pareo? A celare la cellulite.  Non ti senti col culo apposto e ti soccorre Mr pareo, la soluzione ad ogni insicurezza da lato b. Comunque basta a tenere sto culo fisso sul telo manco lo avessi attaccato con l'attack o fissato con un chiodo, non mi giro di culo così non si vede. ma giralo sto culo al sole, che poi se ci pensi che tu abbia un pò di sana cellulite al culo è niente rispetto a chi la cellulite ce l ha al cervello. Quindi care femmine del pianeta guardatevi le natiche e le cosce e se ce l'avete sta cellufemminite sentitevi tanto Femmine.

lunedì 8 giugno 2015

Una piccola moneta d'oro.


..Ti capita tra le mani una vecchia foto, una foto che ti ritrae in un gruppo di ragazzi simpatici che sorridono allo scatto. Ho la faccia tonda in quella foto, gli occhi stanchi e un bel sorriso, indosso una maglia verde e accanto a me c'è una ragazza, magra, ha i lineamenti spigolosi, gli occhi verdi, la pelle olivastra, i capelli lisci di un nero troppo nero e sorride anche lei nella foto. Era uno scatto di gruppo. Eravamo a Roma, in classe, al master di diritto privato europeo e durante una pausa, abbiamo fatto quella foto. Quando me la ritrovo tra le mani, quando la vedo sbucare dalle pagine di un libro in cui la tengo custodita, affiorano tante emozioni, diverse. Una foto è un mondo. Ti spalanca una molteplicità imprevista di sensazioni, ti teletrasporta nel tempo e nello spazio, ti fa fare un salto nel passato, e ti rivedi a un banco di una classe nell'università " la sapienza di Roma", piena di speranze e di sogni per il futuro e accanto ad una persona, di quelle che si incontrano per caso, e altrettanto per caso restano per sempre, Elena. Incontri un casino di persone per la strada, quella che fai, a volte, capita che la tua strada incroci strade d'altri, perchè ti iscrivi a un master a Roma, perchè fai un concorso a Milano, perchè frequenti un corso d'inglese intermedio, perchè quella volta lì, che si ripete tante altre volte, incontri la gente e spesso la gente che incontri, resta nella tua vita e la riempie di cose. Ognuno ti da qualcosa, è come se ognuno rappresenti una piccola moneta d'oro che riempie la tua bisaccia, quello che è bello è che alla fine della corsa, la tua bisaccia trabocca di monete d'oro e di esperienze. Elena è tante monete d'oro tutte insieme. Come quella vecchia foto, che dura nel tempo, a dispetto di ciò che inevitabilmente scorre e ci lasciamo dietro, forse un pò nostalgici, una vera amica non scorre, non passa, resta e la si ritrova e la guardi ogni volta, come quando ti ritrovi tra le mani quella vecchia foto. E così l'ho rivista io. L'ho aspettata fuori dalla metro a fermata Marconi, mi pare si chiami così, ero cotta di stanchezza, dopo il viaggio in treno da Lecce, il tran tran dei mezzi, la borsa da viaggio stracolma, lo stomaco asciutto, ero li poggiata sul muretto e guardavo a destra e a sinistra lungo la strada, con la voglia di scorgere quel viso amico, e dopo pochi minuti di attesa, l ho vista arrivare in macchina, è scesa agile e snella come una gazzella e mi ha cinta in un abbraccio da africa nera, tanto era caldo e affettuoso. Ci sono quelle persone che sanno di pane, di zucchero, di dolci, che sanno di cose buone ed io devo dire la verità ho la fortuna di incontrarle. Mi sono subito sentita a casa, il tempo non vale un cazzo, non c'era più la costante tempo, non erano mica passati sti sei anni, mi pareva ieri ci fossimo trovate al corso, e invece sei lunghi anni si facevano beffa di noi, o meglio eravamo noi a beffarli. Ho trascorso una serata indimenticabile a testaccio, ho mangiato come uno scaricatore di porto, pur conservando inalterata una certa eleganza nei modi, ho bevuto vino bianco nel suo giardino di casa, manco fossi approdata nell'Eden, bianco, freddo e goloso, a lunghi sorsi, ero rinata. Capita che ti senti incredibilmente, fottutamente felice, con niente, con una persona vicino, con un bicchiere vicino, con qualcosa che frizza nell'aria e ti solletica l'anima, capita che ti senti schifosamente felice, capita, per fortuna capita anche questo. Capita anche quando ti senti a casa in un posto, le tue sensazioni te lo comunicano a gran voce, quelle non ti cannano mai, capita quando qualcuno che non rivedevi da sei lunghi anni ti allunga una mano e ti da il suo cuore, te lo da con un abbraccio che ti scalda e ti rinfranca dalla stanchezza, con una camera tutta per te che ti prepara per dormire, con una bottiglia di vino goloso che si scola con te come se in quel giardino fosse scoppiata di li a breve una festa esagerata. Capita quando cammini per le strade di testaccio con quel senso di libertà addosso e quella sensazione che puoi fare tutto, che di li a breve conquisterai il mondo, e ti dimentichi che il giorno dopo hai un esame da fare, un concorso, te ne dimentichi, come avessi battuto la testa su un sasso. Ci sei tu, l'amicizia, Roma e la tua libertà che sa avere un sapore sempre più buono. Questo conta davvero ciò che lasci a qualcuno, quel corredo che ti porti appresso ogni giorno inconsapevole della tua vita, perchè, è questa non è la scoperta dell'America, quello che  lasci a qualcuno, quel sorriso, quel bacio, quella stretta di mano anche inconsapevole ha un valore inestimabile. Dovrebbe esserci un museo che conserva questo, che tiene impreziositi i gesti che dispensiamo alla gente, quelli belli, e cestina come un download che abbiamo scaricato ma che non ci serve, quelli brutti, ed Elena è una gran cosa bella!

sabato 6 giugno 2015

Io sono io. Io non sono tu.

Quando ti trovi bene nei panni che indossi, sei tu. Quando indossi dei panni e sei, come dire, goffo e impacciato, ti muovi a tentoni, forse sei l'altro o ti muovi verso l'altro, senza raggiungerlo mai. Ma chi è l'altro?.. Non sei tu. A volte facciamo le cose perchè le sentiamo davvero, perchè ogni nostro gesto, ogni nostra azione, ogni movimento è dettato da un sentire interiore che ci muove con una naturalezza, con un moto quasi automatico, tanto è spontaneo e primordiale. E' come se ogni cosa che facciamo abbia in sè un pò di noi, ci dice quello che siamo, quello che vogliamo. Ci sono delle volte però, in cui questo circuito perfetto, fatto su misura, va un pò in tilt, si snatura, si lascia in un certo qualmodo condizionare, influenzare, muta per via degli altri. Per l'altro, non per te stesso! E' pressochè inutile nascondersi dietro un dito, fingere che non sia così, perchè ci raccontiamo una serie incredibile di balle, prima a noi stessi che è di gran lunga più grave, e poi agli altri, che alla fine lo è di meno. Perchè diamo così importanza all'altro, da mettere in silenzio se stessi? Perchè del giudizio altrui ci importa!!! E' inutile fingere che non sia così. Ci importa sicuramente di qualcuno cui teniamo, di quello che pensa di noi, non deve importarci, di chi non ci conosce, di chi non conosciamo. Io sono io, io non sono tu. C'è una parte di noi che ha questa sete inspiegabile di sentirsi dire e ripetere " è figo, è in gamba, è intelligente, è un supereroe" e se invece un tale x pensa che sei un decerebrato, uno stupido, un incapace, uno stronzo, se n0n intravede in te quello che tu ti vedi e riconosci essere ogni giorno della tua vita, bè perchè a questo punto deve importarti di questo giudizio? Perchè quella parte " diva" che c'è in te, cazzo, soffre!.. E allora amala di più, accoglila e maneggiala con cura, senza aspre condanne di sorta. Puoi calarti nei panni di un leone, pur essendo un asino, prima o poi raglierai, e chi se ne frega di essere fedeli all'immagine del leone, bè sarai di certo più figo, il re della foresta, ma a un certo punto, quanto ti importa davvero di esserlo? Puoi costruirti una criniera folta e lucente, puoi vestirti di fierezza, puoi lanciarti nel branco dei leoni, ma prima o poi quel grido interiore che ti dice che sei un asino, lo senti, eccome, e c'è che tu sei un sacco felice da asino. E poi chi ti dice che vinca il leone o l'asino?.. Non credo vinca nessuno, se l'uno finge di essere l'altro e viceversa, credo vinca la fedeltà alla propria vera natura. Credo che questo davvero conti e importi, assecondare quello che si è, dare voce a ciò che si è davvero, e selezionare le voci d'ascolto, non tutte meritano di sapere chi sei. Ad alcuni non andrai bene affatto, penseranno che sei d'altri tempi, fuori dagli schemi, o uno stronzo, un superficiale, ma qualunque cosa tu sia, qualunque cosa ti abiti dentro, sta lì e non cambia, è come l'impronta digitale. Ognuno di noi è unico nel suo genere, venuto al mondo e buttato lo stampo. Io sono io. Io non sono tu. 

mercoledì 22 aprile 2015

Le medianeras.



Quando signora Insonnia bussa alla porta della tua stanza, il modo migliore per accoglierla è aprirle, provvista di intelligenti munizioni, come possono esserlo, un libro, o un p.c. acceso su un canale streaming. Ed è così che l ho accolta io la notte scorsa l'insonnia, ho cercato tra i mille film proposti dal sito, e alla fine ne ho scelto uno a caso, che si è rivelato molto bello e di cui ho una gran voglia di parlarvi. Quindi signora Insonnia si è accomodata in poltrona ed è rimasta silente per tutto il tempo ad osservarmi, finchè esausta si è addormentata, lei, ovviamente. Streaming è una trovata intelligente, un pò come le reti wireless, un pò come la salsa ketchup nelle patatine, l'I-pod, il forno a microonde, i pacchetti groupon, i viaggi low-cost, e tant'altro di geniale e gratuito, o quasi. Intelligenza, poi vuol dire anche sfruttare l'intelligenza di un sistema intelligente e quindi che lo show abbia inizio!
Del tutto alla cieca, ho beccato un film cult dell'anno 2014, dal titolo " Medianeras, innamorarsi a Buenos Aires, opera prima di Gustavo Taretto. La location è la città di Buenos Aires, una città triste, che volta le spalle al proprio fiume, con numerose ipertrofie urbanistiche, mastodontiche e variegate, belle e orrende al contempo poste a metafora dell'animo stesso degli abitanti. Il film ha inizio con un susseguirsi di immagini che ritraggono questa città così convulsa e caotica dove ogni essere umano tende a rappresentare solo un numero, e delle volte un numero che si è dimenticato. Tra i milioni di persone che popolano la metropoli, i protagonisti del film sembrano essere due ragazzi che vivono una vita quasi parallela, eppur adiacente, vicina, destinati a sfiorarsi, via via sempre più vicino, fino a toccarsi e incrociarsi solo verso la fine della proiezione. Siamo in piena era internet, Martin e Mariana, vivono in due palazzoni adiacenti, dove gli stessi appartamenti sembrano essere vere e proprie scatole per scarpe, quasi completamente privi di un occhio sul mondo circostante, dove se mai dovesse esserci una terrazza, questa è talmente piccola, che un povero cane, lasciato da solo e costretto ad andare su e giù in uno spazio ristretto di pochi metri preferisce suicidarsi lanciandosi giù, dove un bimbo piccolo in sella alla sua moto-giocattolo va avanti e indietro più volte quasi a ripetere un ritornello stonato. Veniamo a Martin, lui lavora per il suo psichiatra, di cui cura il sito internet, è in cura per un problema di psicosi, ma in via di guarigione, esce molto poco di casa, vive praticamente attaccato al computer e quelle poche volte in cui decide di uscire dalla sua scatola di scarpe, bè si attrezza del suo zainetto pesante, che contiene, tra psicofarmaci, guide antipanico, anche il dvd di playTime, tre film di Tati, preservativi, etc. Insomma un vero e proprio kit di sopravvivenza. Martin è un fobico, un web designer che si è talmente rinchiuso in se stesso e nelle mura di casa, da riuscire ad uscire da questa psicosi, solo grazie alla fotografia. Mariana invece, che abita nella scatola di scarpe adiacente, è una gran bella ragazza, fragile, anche lei con nevrosi e turbe, è architetto, ma non ha mai realizzato nulla, neanche un bagno, e lavora come allestitrice di vetrine per poter sopravvivere.Ha rinchiuso fuori dalla sua vita ogni rapporto sociale, dopo un rapporto durato 4 anni con un uomo che a un certo punto, ha guardato per la prima volta, dopo anni, come un estraneo. Lei è claustrofobica, si cura poco o per niente, non prende l'ascensore, mai, si fa a piedi gli otto piani di scale per raggiungere il suo appartamento. Le piace allestire vetrine, vestire manichini, la fa sentire anonima e questo la toglie dalla visibilità, dall'imbarazzo di essere o dover essere qualcuno. Un manichino d'uomo se lo tiene in casa, come per farsi compagnia, gli fa la doccia, lo veste e lo sveste e si eccita pure con lui, dicendogli il giorno dopo mentre facendo colazione beve il suo caffè, di non illudersi perchè è stato solo sesso. Piange disperata quando l'inquilino della stanza accanto suona imperterrito il suo pianoforte, quella musica le tocca delle corde e allora tira dei colpi sul muro, per farlo smettere, o lancia con forza il suo tazzone del thè o caffè contro il muro per far tacere la musica. Mariana rifugge ogni rapporto, ogni relazione, crede di bastare a se stessa, si sente al sicuro nel suo anonimato. Quando un tipo nel negozio le chiede di uscire, lo molla al tavolo da solo e fugge via, quasi confortata per esservi scampata. Martin invece ha le sue " storielle" di poco conto, e vive con un cagnolino bianco, di piccola taglia, una barboncina, che la sua ex gli aveva lasciato in custodia quando tempo fa aveva deciso di partire, senza però più tornare. Martin si sbarazza di una poltrona con le rotelle, che trovava dannosa per la sua cervicale, Mariana, la trova giù abbandonata e la trova carina e la recupera, portandosela nel suo appartamento. Entrambi insomma sono single e sociopatici. Tristi come i palazzi della loro città e la loro facciata: "medianera", appunto,una facciata inutilizzabile, senza finestre, dove vengono appesi manifesti pubblicitari scarsamente attraenti. Pare sin da subito che Martin e Mariana siano fatti per piacersi, amano le stesse cose, ascoltano la stessa musica, frequentano la stessa piscina, piangono davanti allo stesso film, eppure mai incrociati, mai fino a quando entrambi, decidono di far aprire un buco, a mò di finestra sulle medianeras, quelle facciate inservibili. Davvero divertente e simpatico è il momento in cui entrambi si affacciano, e lei sbuca da una finestrella in alto nel bel mezzo di uno slogan pubblicitario e lui da una finestrella in basso all'interno di un paio di boxer da uomo, scena davvero simpatica e quasi surreale. Si vedono da lontano per la prima volta e sorridono, entrambi hanno voglia di uscire dalla trappola di cemento urbano che li avvolge, e di trovare una soluzione a quel caos di grattacieli e volti senza nome. Poi a un certo punto, verso la fine del film, Martin e Mariana, si incontrano, lei lo intravede dalla finestra, vestito come quel personaggio della sua vita, che in un libro illustrato che la accompagna da sempre, cerca con una lente di ingrandimento di scorgere nella moltitudine della folla, vestito con una maglia a righe bianca e rossa, e con quel cagnolino bianco al guinzaglio, lo scorge dalla finestra, in martin, riconoscendovi qualcosa di familiare e vince persino la fobia dell'ascensore, ci sale su e scende fino ad uscire fuori dal palazzo e incontrarlo. Si guardano per la prima volta e qualcosa scatta. L'ho trovato un gran bel film che da l'idea di come in un era in cui si è costantemente connessi si è poi così dannatamente soli. Un film che mostra i personaggi per quello che sono, ammalati di solitudine, tanto da rifuggire con ogni mezzo e modo il sociale, chiusi in se stessi, veri, con i loro drammi, le loro psicosi, ma veri, senza apparenze a tutti i costi. Ed in fondo dove sta scritto che bisogna essere diversi da quello che si è, che necessariamente bisogna apparire vincenti, socialmente forti e brillanti?... Mariana e Martin sono tutt'altro, fanno un uso costante di psicofarmaci seri, senza farne un dramma, vivono una vita lontano dai riflettori, perfino del quotidiano, convivono con le loro nevrosi e le loro vite anonime e sono, infelici, talvolta anche felici. A me è piaciuto molto questo film, perchè il vero coraggio non sta nel tessere le proprie lodi o apparire forti e vincenti, quello, purtroppo, sembra pagare, ma solo in una società, dove o si balla quella danza o sei tagliato fuori, perchè devi venderti bene, devi avere buone referenze, o sei inevitabilmente escluso, sei out, fuori. e quindi come tanti soldatini, ci mettiamo in riga e seguiamo la marcia, una marcia che o rende felici noi stessi o che non ci porta da nessuna parte, o meglio si, solo ad assecondare le aspettative e i bisogni degli altri. Il vero coraggio è mostrare le proprie fragilità, il proprio tallone d'achille e pensare che tutti noi, chi lo nasconde meglio degli altri, chi no, siamo incredibilmente umani. 

venerdì 13 marzo 2015

Forse... nessuno si salva da solo!










Una porta chiusa. Un corpo di donna che si riflette nello specchio, prima coperto da un vestito etereo, poi nudo, l'ossessione della perfezione, della bellezza, vagheggia la scena iniziale del film di Castellitto, regista del libro scritto dalla moglie, " nessuno si salva da solo". 
Due. due persone, un uomo e una donna che si incontrano in un ristorante per consumare una cena, per terminare di consumare se stessi. Lui è Scamarcio, nei panni di Gaetano, lei è Jasmine Trinca, la moglie, ormai ex, di lui. Si incontrano per decidere come combinare le vacanze dei loro due figli. Lei appare bella, ma ha i tratti del viso rigidi, quasi incasellati, la bocca ferma, che si lascia andare in smorfie che sfuggono ad un austerità quasi plastica, un'austerità, una compostezza, che non tardano a decomporsi. Lui invece, sembra sicuro, quasi spavaldo a tratti, con quell'intercalare ironico, sadico, quasi cercato. Si guardano ma è come se non si vedessero nemmeno. I giochi, le dinamiche di una coppia consumata, sembrano possedere la scena come ombre che passano e sfumano sullo sfondo. Uno snodo di didascalie felici e dolorose che si alternano e si rincorrono senza posa, senza fiato, dalla prima scena tirata fuori dal libro delle memorie. 
Il primo approccio, i primi baci, la passione che divampa infuocata, il sesso esasperato nelle scene, i litigi furiosi, i giochi, la complicità, l'amore, che padroneggia indisturbato nella scena del parco, dove lei sviene e lui dopo averla presa tra le braccia, come a volerla salvare col suo amore, la imbocca come una bambina con delle paste che trasbordano di crema pasticcera, e mangiano golosi e si amano golosi, e lei gli dice " Grazie" e lui chiede " perchè"?.. E lei risponde ".. grazie di amarmi". 
Un amore urlato nelle scene esplicite di sesso, dove si danno l'uno all'altra senza riserve, negli eccessi di uno slancio di carne e cuore. Lei non ha mai ricevuto amore, mai quello sperato almeno, e il rifugio nell'anoressia e nella bulimia, l'hanno sempre fatta sentire apposto, come fosse il controllore di una vita fragile, una vita familiare senza amore, una vita all'improvviso piena, traboccante di amore, un amore che viene da un uomo bello, sfacciato, diretto, giocoso, ironico, pungente, quasi teatrale in alcune scene spinte all'eccesso, un uomo che sugge i suoi seni mentre lei allatta il bambino, un uomo che le lecca con avidità i denti, che sono consumati, fragili, che sono quella macchia evidente di un mancato amore. Gaetano e Delia si amano, si sono amati, senza tempi, filtri, si sono dati senza calcolo, piani, schemi, l'uno all'altra, nella spontaneità del divenire quotidiano. E poi, l'amore, questo amore che salva, si blocca, si ferma, si rompe, ha un black-out, non muore, muta, si riempie d'odio, risentimento, rabbia, rancore, gelo e l'idillio si spezza. Quando qualcosa che salva, si spezza, cerchi qualche brandello di salvezza altrove. E qui Castellitto è maestro nell'accendere quel contrasto di intenti nell'attaccarsi a un salvagente. Lui, Gaetano scopa,  e lo fa come per dare sfogo ad una rabbia che gli abita dentro, come per sfuggire ad un baratro che gli si è splancato davanti, e che non vuole vedere, lei invece da spazio all'immaginazione, al flirt vagheggiato, all'amore platonico, si aggrappa ad una fantasia nella speranza che la tenga in vita, come quella respirazione bocca a bocca che il padre di un amichetto di scuola del figlio le fa nel bel mezzo di un parco. Entrambi, Gaetano e Delia, a loro modo, vogliono sfuggire al baratro, alla fine di quell'amore che li ha salvati. 
Nessuno si salva da solo. Cerchiamo, forse, quasi, inconsapevolmente qualcuno, qualcosa che ci salvi, sfuggendo a noi stessi. Si dipana per l'intero svolgersi del film un continuo andirivieni tra passato e presente, che si toccano, si scontrano, si fanno male, si inseguono senza mai raggiungersi, ormai quel passato è lontano. Squarcia la scena come un taglio netto su una stoffa, violento e deciso, un gesto che lei, nel bel mezzo della cena fa, lancia sul viso incredulo, scettico dell'ex compagno il gelato che aveva nel bicchiere, e poi la rabbia lascia il posto all'emozione e crolla in un pianto dirotto e isterico. Lui ancora incredulo, si toglie il gelato dalla faccia e si lancia in improperi, attacchi verbali violenti e insulti. La fine. 
Intanto una vecchia coppietta, li osserva per tutto il corso della cena, incuriositi, a volte basiti, a volte invadenti, ma di una curiosità sana. Loro, un pò attempati ed eleganti, sembrano godersela bevendo champagne, sembrano essersi salvati, loro. Ho trovato duro, forte, davvero triste, questo costringersi a dirsi, l'uno contro l'altro disarmati, è finita, non ti amo più, tra singhiozzi repressi e occhi che tradiscono le parole. 
Poi alla fine della cena, quella coppia che si è salvata, si avvicina al tavolo, e lui, un ironico ed elegante Vecchioni, invita la coppia, che non nega di aver osservato, a pregare per lui, e con frasi brevissime accenna alla vita vissuta con la sua compagna, che cinta da un elegante scialle lascia dondolare i suoi bruni e lunghi capelli con una bocca rossa che ride, abbracciata nell'incedere al marito, che dice di essere malato e di aver però trovato la salvezza. 
E' aspro il confronto, quei vecchi signori, con tutti i loro fardelli e i loro problemi, si sono salvati, hanno vinto, hanno capito tutto, hanno saputo farci con ciò che gli è capitato, loro due, gaetano e Delia, no! Si sono arresi, hanno ceduto, non hanno saputo mediare, andare oltre, tenersi, amarsi. Ma qual'è il vero segreto di tenersi?.. Incontrarsi, scoprirsi, amarsi, sono in sè un meraviglioso miracolo, tenersi è il miracolo che continua. 
Delia rientra a casa, con lui, osservano i loro due figli e poi lei mangia avidamente un piatto succulento in cucina, a bocconi avidi e dopo ride e continua avidamente a mangiare, mentre osserva lui che giocoso, sorridente, con le mani in tasca si allontana saltellando fino a scomparire dietro l'angolo. Non si coglie, forse si lascia volutamente all'interpretazione libera dello spettatore, ormai affondato nella poltroncina, se Gaetano e Delia si sono salvati. O come si siano salvati?.. Forse si sono salvati evitandosi di farsi ancora male e dandosi la possibilità di amare qualcun altro, forse non si sono salvati, perchè non hanno saputo tenersi ancora. Le generazioni di un tempo erano di certo più brave a tenersi, nonostante tutto e credo che questo messaggio nel film giunga urlato. Dovremmo essere così, abbastanza forti da tenerci, abbastanza coraggiosi, abbastanza innamorati delle possibilità da non perderci, imparare un pò dai nostri vecchi, imparare ad amarsi nonostante. 
C'è qualcuno che ci salva che se ne va indisturbato per le strade del mondo, che non abbiamo ancora incontrato, o che abbiamo sfiorato, solo visto, c'è questo qualcuno per ognuno di noi? e se c'è vale la pena questo amore che salva e poi spezza le ossa?... Lo lascio a voi questo interrogativo irrisolto. 

mercoledì 11 febbraio 2015

Io l'ho visto Sanremo.









Ieri ho visto il Festivàl di Sanremo, la famosa Kermesse che ogni febbraio che si rispetti ha luogo nella bella cittadina sanremese. L'ho visto per una motivazione ben precisa, credo l'unica, per godere dell'esibizione canora di Gianluca Grignani, che per motivazioni tutte mie e personali, mi piace, molto, tanto, tantissimo. E anche questa volta non ha tradito le mie aspettative, il Grigna, resta il Grigna. Il testo della sua canzone è molto bello. Quelle parole messe in fila, lo raccontano. Raccontano un uomo, che non è un santo, che ha le sue fragilità, che ha le sue emozioni, che ha fatto i suoi errori, e che guarda avanti consapevole del suo valore e dell'amore che lo circonda. Il testo dice "... ne ho sentite tante, quando ho voltato le spalle, racconta di ragni che fanno i nidi sui nostri errori, più o meno innocenti, racconta di uomini o santi ingannati da sogni infranti. Mi piace, non mi aspetto piaccia a tutti, e onestamente non m'importa, se si piazzerà o meno questa canzone. Ma ancora una volta, lui è quel nessuno, quel re del niente, che ha qualcosa da dire, e sa trovare le parole giuste. Il testo comincia con una frase molto bella che potrà sembrare utopica ai più scettici, e forse tra questi mi ci infilo pure io : " ... L'amore è un fiore che quando nasce non conosce inverno, ed io ci credo". Faccio il mio più grande in bocca al lupo a Grignani, e spero che quel messaggio cantato con un emozione palpabile, giunga a chi sa sentire. Non ho mai amato, particolarmente, questa Kermesse, l'ho trovata sempre noiosa, stucchevole, e con un facile zapping ho cambiato canale. Ieri invece le cose sono andate differentemente dal solito. I testi di alcune canzoni in gara, sono molto belli, l'emozione degli artisti in gara era quasi palpabile, com'è costume sanremese. Mi ha a dir poco strabiliata, la performance canora di Tiziano Ferro, l'ho trovato bello, consapevole di una voce sicura, di una presenza scenica impeccabile e un estensione vocale incredibile. Potremmo definirlo un " Tiziano Ferro show", direi! Carlo Conti, per quanto non se la sia cavata proprio male, mi lascia indifferente. Riguardo le vallette che lo incorniciano, giunge chiara, talvolta studiata, una fresca simpatia, una stentata presenza scenica, una mancata eleganza nelle movenze. Ingoiate da abiti preziosi, ma che non hanno lasciato il segno, almeno per me. Ieri guardando il Festivàl ho respirato aria salentina, la Emma Marrone sprizza salento da tutti i pori, dalla cadenza, alla mimica, è come dire " fatta a casa". E veniamo a Siani. Io ad esser sincera, non lo condannerei così aspramente, questo accanimento mediatico lo trovo privo di senso. Anzi io ho trovato Siani, brillante, spontaneo, vero. E se nella spontaneità si è lasciato trasportare da una battuta sul peso di un bimbo che non entrava nella sedia, bè non l'ha fatto certamente per offendere nessuno, o per ridere di qualcuno. Era, credo, un suo modo tutto napoletano per dire " mangia meno bomboloni alla crema".. e da qui il tornado mediatico. Bè io spezzo una lancia per Siani, e non lo faccio perchè ha magari " intelligentemente" devoluto il compenso (qualcuno potrebbe averlo inteso come un rimedio allo scivolone), io no, s'intende. Io assolvo Siani, perchè molte volte, il più delle volte, la colpa non è di quello che si dice, ma di come uno interpreta quello che si dice, è l'interpretazione erronea che scatena gli inferni. Anzi io ho visto un grande Siani, che a differenza di altri comici, partecipa alla risata, si emoziona con gli spettatori, e questo mi ha colpito, ho visto un umorismo spontaneo e partecipativo. E poi non poteva, di certo mancare la coppia vintage più gettonata del momento, Albano e Romina che con " Felicità" bè per quanto sull'onda del vintage, destano gli animi più sopiti. Io a ste cumparsite della coppia ritrovata, ci credo poco, ci vedo chiaro un bel business di due intelligenti, poi che sia amore o un calesse, affari loro!... Tirando le fila sanremesi la prima serata del Festival mi è piaciuta, non credo guarderò le prossime, la mia curiosità è paga. Ho respirato spontaneità, poco artificio e anche la mia terra, lu Salentu, quindi la mia recensione sulla serata del Festivàl è positiva. Spero però trionfi la musica, la vera, l'unica presenza importante della kermesse, quella che senza sforzo, giunge dritta al cuore. In questa prima serata io ci ho trovato in più occasioni, quando velato, quando espresso, un chiaro riferimento all'amore. L'ho sentito fortemente nel monologo finale di Siani che parlando d'amore, dice a chiare lettere, smorzando l'ironia, che l'amore deve essere per tutti, per ognuno di noi, per il mondo e ricorda Pino Daniele, presenza del Festival, intensa e silenziosa. Credo sia molto bello credere che l'amore è davvero quel fiore che se nasce non conosce inverno. Io lo auguro ad ognuno di voi e anche a me. Buon Festivàl e che vinca la voce più bella.

lunedì 26 gennaio 2015

La mia recensione. La teoria del tutto.




La teoria del tutto. Il tutto spiegato attraverso una teoria, direi che è un gran motivo per sguinzagliare la curiosità e andare a vedere questo film, e godere, affondati nelle poltroncine di un cinema, della magistrale interpretazione di Eddie Redmayne nei panni di Stephen Hawking, brillante cosmologo, definito poi il successore di Einstein. Definisco brillante e magistrale l'interpretazione di questo personaggio, perchè credo nessuno come quel viso avrebbe potuto prestarsi meglio a quella parte. Una faccia molto british, come l'intera cornice del film, punteggiata da lentiggini, occhi minuscoli e chiari dietro un paio di occhiali tenuti sul naso quasi di sbieco, magrissimo e ossuto, quasi goffo, ma con quel sorriso sempre acceso e quello sguardo favoloso, ma proteso alle meraviglie del cosmo, alla scoperta. Vedendo il film, ti sembra di essere catapultato in un ambiente di grandi menti ed esserne soggiogato dal fascino che la mente sprigiona è un attimo, ti accorgi di come tutto ciò che c'è intorno, anche un fuoco che arde nel camino, può essere visto in una prospettiva, come dire, scientifica, e cambiare tutto intorno. Stephen Hawking è il personaggio chiave del film, ironico, sempre sulla cresta dell'onda, anche quando si trascina sulle gambe, che ormai vanno per conto loro, anche quando si ritrova su una sedia a rotelle, anche quando si trascina lungo sulle scale di casa, anche quando percepisce che la donna che ama, che ha voluto fortemente lui, e ha tenuto in piedi quell'amore, una donna forte, caparbia, tenace, a un certo punto non lo ama più, si stanca. Lui non demorde, si reinventa, si arma di autoironia, si rialza, solo metaforicamente parlando. Quando ho colto, la triste sorte che lo attendeva, quasi al principio del film, ho pensato che avevo fatto bene a portarmi appresso i kleenex, e invece, non mi sono serviti affatto, non ho pianto, mi sono emozionata all'inverosimile, si, ma mi è arrivato forte e chiaro il messaggio del film, che esula da formule matematiche, teorie cosmiche e fisiche, pur restandone fortemente correlato, ed è un concetto che approda, un pò, a quello che è il senso comune delle cose e della vita, che dice che finchè respiriamo, finchè siamo vivi, è sempre viva la speranza....... io aggiungo che cose di straordinaria bellezza possano accadere. Un corpo inerme e una mente che a dispetto di quell'infermità, vola, vola alto, vola fino a " a breaf history of time", un best-seller che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. E questo ce la dice lunga, molto lunga, la testa, il fascino di una mente arguta, brillante, favolosa, possono vincere su un corpo infermo. Stephen vive l'amore nella completezza di un rapporto con una donna che lo ama, a prescindere da tutto, è padre di 3 bambini, è uomo di scienza, è una mente che non smette mai di volare "oltre". Due anni di vita, due che diventano, a sfregio delle previsioni, 70, portati bene. Si susseguono scene, dove i dialoghi arguti, brillanti, sono scanditi dai primi piani dei protagonisti, che ti guardano in faccia attraverso lo schermo e ti trasmettono tutto. Provvidenziale l'intervento della madre della moglie di Stephen, che in un ottica tutta inglese, invita la figlia, stremata dal peso della malattia di Stephen e dai figli e dal resto, a iscriversi al coro della chiesa. Ah le madri.. che saggi consigli. Appena entrata ci trova un pastore, a dirigere il coro, dall'aspetto tutt'altro che rassicurante, anzi. Un morone, bello e capace, nella sua inettitudine di turbarla e vincerla nella passione, perchè lei gli cede una notte in campeggio, proprio quella notte in cui Stephen ha un forte attacco di polmonite e viene ricoverato, e dato per spacciato. E qui, mi sono persa, perchè non ho capito, perchè lo salva, mi è quasi sembrato, che l'ostinazione a tenerlo in vita, attraverso una tracheotomia, che lo priverà per sempre della parola, fosse solo un grido della coscienza, un riflesso immediato ed estremo della consapevolezza del tradimento, come se tenerlo in vita la scagionasse. Ma poi non funziona, tra loro, irrimediabilmente, finisce. Finisce, come un ciclo di cose che ha un inizio e una fine, finisce con quella pacatezza e fermezza accompagnata da un liberatorio pianto che commuove, lui la lascia libera, da se stesso, da pesi. Insomma un bel film, che ti tiene lì avida di sensazioni, fino all'ultima proiezione, che ti corteggia sinuoso con i dialoghi e le scene, con un'ironia schietta e scevra da calcolo. E l'ironia è palpabile in alcune scene, una tra tutte, la ricordo bene. E' un dialogo curioso tra Stephen ed il suo amico di corso che mentre sollevatolo dalla carrozzina lo tiene in braccio lungo la scalinata, gli chiede " ... ma questa malattia del motoneurone non colpisce anche quel muscolo lì"?... e Stephen chiede" ... quale"?... ridendo col ghigno.. e l'amico incalza ".. dai che hai capito" e lui fa".. no quel muscolo no"!.. e l'amico sottolinea... " bè questo la dice lunga sulla teoria degli uomini". La teoria sarebbe quella nota insomma, che quel famoso muscolo coi neuroni non ha nulla a che vedere, lì sotto pare abbiano un altro cervello indipendente. Poi velata, ma mai palpabile appare la presenza di un Dio, che prima viene, come dire, escluso, messo da parte, alieno dalla scienza e dalle teorie cosmiche, poi si avverte così forte e viva nella scena della premiazione di Stephen, dove ad una ragazza seduta in prima fila, cade una penna, e lui si vede che si alza dalla sedia e scende gli scalini per raccoglierla... e quest'immagine che per un attimo fa pensare ad un miracolo di Dio, bè viene proiettata e credo, ad arte, incasellata, proprio nel mentre una persona del pubblico, che era li ad assistere alla premiazione, chiede a Stephen se crede nell'esistenza di un Dio. Oh ragazzi, io mi sono piuttosto divertita.

lunedì 19 gennaio 2015

Io resto qui.





La tua mano tiene la mia,
di sottili pieghe rigata
dal tempo. 

tu sei ricurva 
i tuoi capelli sono fini
sembrano fili di argento.

lo stesso bagliore
fisso negli occhi di un tempo
mi tiene qui ancora contento.

urla e litigi, guerre silenti
fuochi che furono
su labbra incoscienti.

 il tempo è fuggito, 
 andava lontano
 io resto qui, ti tengo per mano.







giovedì 15 gennaio 2015

Riflessi.



Questo quadro richiama la pittura figurativa e pittorica, che ha nel Rinascimento, Barocco, Realismo, Impressionismo, Fotorealismo e Iperrealismo, le manifestazioni più varie, dove un fondo materico convive con le figure umane in un processo creativo personalissimo.
E' stato realizzato da un mio caro amico, Fabio Maggio. Il Maggio nasce a Foggia, nel luglio del 75. Descrivere la personalità di questo artista è puro divertimento, sia sotto il profilo umano che artistico. Lui possiede una carica vitale che trasmette a chi gli sta accanto, dal carattere gaio ed estroverso, sembra divertirsi in ognuna delle sue molteplici attività, passando dalle scene di un corto, alla tavolozza dei colori con grande maestria. E' un fervido amante della vita in tutte le sue forme ed un inguaribile ottimista, fermamente convinto del fatto che ognuno di noi è il solo artefice del suo destino e tinge la sua tela a seconda dei colori che attrae col pensiero, in parole povere, i nostri pensieri, altro non sono, che un progetto che demandiamo all'unico artefice possibile, l'Universo. Ed in particolare su questa tela prende forma con estro e talento il pensiero del Maggio. Nel momento in cui l'uomo prende consapevolezza di ciò che è, e di ciò che vuole, diventa padrone assoluto della sua vita, ne diventa il timone, la dirige là dove vuole, e sceglie ciò che vuole essere. Ma prima di approdare a questa consapevolezza, lo aspetta un percorso lento e incerto, fatto di passi avanti e passi indietro, di scivoloni e cadute, per poi maturare quella consapevolezza tangibile, quasi materica, appunto, che è quella di essere ciò che si è scelto di essere, e dimenticare che esista anche solo la possibilità di essere vittime degli eventi della nostra vita. Ebbene, questo è il viaggio intrapreso dal Maggio in questo quadro, dove egli sceglie la donna, con una fisicità sensuale e dirompente, che poco a poco assume forma e contorno, Questa figura femminea che appare quasi scolpita, si delinea  sinuosa e spigolosa in un gioco di chiaro-scuri d'effetto; predominano le tinte forti, un nero energico, quasi calcato ad imbrattare di colore la tela, la scritta che si legge in alto a sinistra è il messaggio del Maggio " Choose your life", scegli chi vuoi essere e sii protagonista della tua vita.
Questa figura di donna, che non ha volto, per scelta del Maggio, per il solo motivo che sta ad ognuno di noi vederci la donna che vuole figurarsi, è quasi graffiata sulla tela, ha lo spessore di un bassorilievo, il colore si accalca denso, grumoso, su se stesso, creando una fisica suggestione materica e chiaroscurale. S'intravede una tradizione figurativa e colta, dove l'impulso all'istinto pittorico prende il sopravvento, da vita ad un blocco plastico, ad un'architettura umana di tinte forti e forme, si assapora osservando il quadro, un'intensa drammaticità evocativa che la donna esprime nell'appoggiarsi al muro che la riflette, perchè il percorso nella consapevolezza è duro e stancante, il suo sguardo però vi è sempre fisso e rivolto, e poco a poco, in un gioco di bianco e nero il profilo assume contorno e si delinea, così come si delinea la sua consapevolezza di donna, che è, sa e può.  La pittura qui è pathos, tensione emotiva, fatica, personalissima armonia delle forme, lotta continua tra la realtà nel quadro e il quadro nella realtà. Insomma il lavoro di Fabio Maggio rappresenta un processo di livello sistemico che inizia con uno stimolo e termina con una risposta : Choose your life! Nella tela il colore ha un ruolo chiave per giungere allo scopo che il Maggio si è prefissato, infatti è di una consistenza tangibile, corporea, ha peso, quantità, spessore, oggetto. Lo spessore tende a dissolvere i contorni figurativi in un'erosione di colore lenta, sfumata, in un agglutinarsi indistinto di colore, materia e figura umana.

lunedì 12 gennaio 2015

Il rossetto.




Coco Chanel che era una che "la sapeva", disse:" Se siete tristi, se avete un problema d'amore, truccatevi, mettetevi il rossetto rosso e attaccate". Bè direi che non avrebbe potuto esprimere meglio il concetto. Il rossetto, questo cosmetico fantastico, rosso intendo, come il fuoco, l'amore, la passione, la guerra, lascia tracce sul boccaglio di una sigaretta, sulla camicia di un uomo dopo un bacio furtivo sul collo, su guance o labbra, lascia una traccia, un segno, il disegno di una bocca. 
Secondo il dizionario etimologico significa " alquanto rosso". Dai Sumeri agli Egizi, alla Roma Imperiale, le donne inventavano i più svariati stratagemmi naturali per tingere la bocca, paste di polvere rossa, diverse specie di coleotteri e il solfuro di mercurio. La prima traccia di trasgressione tutta al femminile, intesa dai perbenisti ecclesiastici un insulto, un simbolo della dissoluzione, prende forma in un bastoncino di terra semisolida sopra un legnetto, e seccata al sole, diventa un valido strumento di seduzione. Parrebbe che la prima donna a subire il fascino di questo magico orpello, fosse stata la bella e dissoluta Cleopatra e poi via via tante bocche di rosso scarlatto dipinte, hanno fatto la storia della femminilità, di quel sex-appeal irrinunciabile. Da Marylin Monroe, la divina, a Rita Hayworth, Elizabeth Taylor, Grace Kelly, Ava Gardner ai giorni nostri. Un semplice tocco di rosso vermiglio, o scarlatto, su una bocca, bè non ti cambia solo l'aspetto, perchè ti valorizza alquanto, mette a nudo la forma della bocca, la incornicia e la rende sensualmente visibile, ma ti cambia dentro. Può sembrare strano ai più, non alle donne, ovviamente, che sanno perfettamente cosa intendo, perchè quando una si tinge la bocca, forse vuole sedurre gli altri, ma nel 99% dei casi, vuole sedurre solo se stessa. Ebbene si, questo qui è un orpello magico, ti seduce. Poi lo consumi come ti pare, baciando, mangiando, bevendo, lo consumi mentre le labbra si muovono, e lo consumi. E invece no! C'è quello che non si consuma, tu sei a cena con qualcuno, mangi, bevi, parli, e non si consuma, le tue labbra come d'incanto restano rosse esattamente come quando 2 ore fa sei uscita da casa. Non ho scoperto l'acqua calda, solo che non mi riesce di capire quale sia quell'intruglio misterioso, che messo sulle labbra resta lì fisso, come se lo scorrere del tempo non gli facesse una piega. Mi piace questa invenzione tutta "chanel", mi piace assistere a questo miracolo della cosmesi, mi piace pensare che c'è qualcosa che resta indelebile, per quanto, non su di me, io apprezzo ciò che si consuma, perchè mi da l'idea di qualcosa che vive ( ma questa è una mia personale opinione). Il rossetto lo metti nelle giornate storte, perchè devi attaccare la vita, come dice Coco chanel, e ti senti quella stranissima marcia in più, perchè nell'esatto momento in cui lo usi, dopo che hai dipinto la bocca di rosso, bè ti senti su on, ed è una cosa insolita, che non ti spieghi, ma accade. E' come se vestisse le tue vulnerabilità. Il trucco o make-up che dir si voglia, è proprio una gran bella invenzione. Pare che una donna non sia mai così attenta e lucida, come quando si trucca guardandosi nello specchio, tutto il resto del mondo mentre si dedica a questa ars amandi scompare. Poi è tutta una questione, come dire, di appartenenza, di sentirsi a proprio agio, nelle proprie vesti, e funziona così anche col rossetto. C'è chi si tinge la bocca decisa e ne fa sfoggio, e appena questo colorante magico comincia a dissolversi, torna alla toilette a rifarsi il trucco, c'è chi la tinge decisa e si scolora la bocca strada facendo, perchè lo trova audace, c'è chi lo usa sempre, c'è chi lo usa di tanto in tanto, c'è chi preferisce una bocca rosa pallido. Tirando le fila, io sono comunque contenta che esista. 

venerdì 9 gennaio 2015

Un pensiero.

La guerra si può fare con una matita, con una penna, con un giornale. La comunicazione può essere veicolo di ideologie estremiste, di politiche personali o di massa, può significare ridicolizzare una religione, un credo, materializzare una provocazione.  Ma una matita, una penna, un giornale non uccidono vite, non mietono vittime, non spargono sangue. Le armi si!!! La guerra e la violenza non hanno giustificazione alcuna. Ciò che si è consumato in Francia in questi giorni, è solo la follia di un ideologia estremista e malata che non ha nulla di umano, di un fanatismo efferato e sanguinario. Sento un profondo senso di orrore, ho orecchi e occhi ancora increduli. Questa ancora una volta è la riprova che non c'è salvaguardia che tenga di fronte a menti malate e addestrate alla morte. Oggi, in uno scorcio di tg, ho sentito la voce della compagna di Charlie, il fumettista ucciso a sangue freddo, che diceva, con la voce rotta dal pianto, che le avevano strappato il suo compagno, l ' amore della sua vita e che neanche tutta quella solidarietà che da ogni dove impazza nel web e nelle strade può darle consolazione e sollievo. Perché al dramma di una nazione, al dramma europeo, si aggiunge, silenzioso, perché non ha voce, il dramma grande, inesploso, delle famiglie delle vittime, di dolori immensi, fantasma, che si annidano in queste storie di terrorismo nazionale ed europeo. Quello di un padre che non tornerà a casa, che non rivedrà più i suoi figli, di una donna che non dormira' più accanto all' uomo della sua vita, che è morto solo perchè disegnava in un giornale. Una lotta tra una matita e un fucile, è una lotta impari. Che quelle anime riposino in pace, e che Dio o qualsiasi entità voi riconosciate come tale, dia ai familiari e cari delle vittime quel coraggio necessario per non morire.

mercoledì 7 gennaio 2015

Have a good game!



Mercoledì 7 Gennaio e le feste Viaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!! bandite. Scrollatina di spalle, sorriso e sguardo puntato ad un nuovo orizzonte. Tante cose da fare, una nuova agenda che fa capolino tra i fascicoli e le scartoffie della scrivania. Si riparte da un gennaio nuovo di zecca. Voglie Letterarie cambia habitus e si veste come una carta da gioco, cuori, quadri e fiori. Io non amo le carte, anzi non ci ho giocato quasi mai, se non in sporadici casi di forzatura psicologica di gruppo, ma mi piace quello che suggerisce questo nuovo habitus, la carta da gioco. La vita in fondo, in fondo, altro non è che un meraviglioso "game" e noi siamo i giocatori, basta giocarla una partita, come ti va, come viene, come sei, senza prendersi troppo sul serio, tra assi nella manica, carte vincenti e due di picche che hai dato e che prendi. Questa è una partita " stronza" ti insegna la lezione e ti fa la morale. Tu ti giochi le tue carte e fai quello che ti senti, senza rimorsi, rimpianti e fregandotene se perdi o vinci. Ciò che conta non è vincere, ma uscire dignitosamente, anche perdente da una partita. Chi lo sa, a volte con l'asso nella manica non vinci nulla, delle volte vinci perdendo. Ripeto è una partita un pò a se la vita, e a giocarci bene, fino in fondo, ti ritrovi con i capelli bianchi e la pelle a pieghe, perchè non avrai mai imparato abbastanza. Ciò che conta è che con le tue belle carte in mano, fai ciò che senti e ciò che vuoi, osi. Questo è il monito che vi fa Voglie. " La felicità è a portata di mano di chi crede e sa osare". E allora fate pure quanto sentite, non c'è nessun giudice a dirvi se è giusto o è sbagliato, ogni cosa è giusta o sbagliata a seconda della prospettiva da cui la si guarda. Siamo concime per i fiori, si spera di quella buona, ma prima di quel game over, abbiamo in mano cuori, quadri e fiori, facciamone buon uso. Have a good game da Voglie Letterarie.