Albaret
Sainte Marie, piccola cittadina nel cuore della Francia, era ancora
immersa nel sonno di un'estate rovente, mentre il sig. Martin, un
uomo basso, dall'aspetto un po' goffo, con la sua barba bianca
incolta, apriva, come ogni mattina, Le Rive Droute, il suo caffè.
Con
il consueto cerimoniale, metteva fuori, una ad una le sedie, poi i
tavolini, ornandoli di fiori profumati e freschi, e lasciava
parcheggiata, vicino alla porta del suo negozio la sua vecchia
bicicletta gialla col cavalletto.
Ogni
tavolo disposto ad arte, aveva un vaso simile di vetro soffiato
azzurrino, con un fiore diverso in bella vista, viole, girasoli,
tulipani, margherite e rose. Era compito della sua consorte, la
signora Gina, andare dal fiorista all'angolo della strada e comprare
i fiori più belli per il suo caffè.
Alle
7.30 del mattino, puntuale come un orologio svizzero che spacca il
secondo, il sig. Thierry Dupont passeggiava frettolosamente lungo il
viale del caffè Le Rive Droute, con la sua ventiquattrore in mano,
accigliato e fiero. Thierry era un uomo sui quaranta, alto, moro, con
i capelli corvini ancora folti, e due grandi e profondi occhi scuri;
aveva un incedere fermo e risoluto, ed era sempre impeccabilmente
elegante.
Quella
mattina, Thierry si era fermato a bere il suo solito caffè, corto e
nero, seduto ad un tavolino di Le Rive Droute, con la ventiquattrore
poggiata sulla sedia di rimpetto, intento a leggere il suo giornale.
Mentre spulciava, assorto, la penultima pagina di Le Monde, alzato lo
sguardo per finire il suo caffè, vide per la prima volta Alina.
Così
aveva detto di chiamarsi, Alina. L'aveva detto al sig. Martin, che
aveva raccolto la sua ordinazione, e Thierry aveva subito pensato che
quello fosse davvero un bel nome.
Era
seduta, proprio a pochi passi da lui, segnati dai tavolini del caffè
rigorosamente allineati, con le gambe perfettamente accavallate, la
pelle bianca come il latte e i capelli castani dorati dal sole,
scomposti su un bel viso, senza l'ombra di un trucco; beveva il suo
caffè e mangiava con una naturalezza innata, quasi finta, un florido
limone giallo.
Ne
staccava i pezzi della dura buccia a morsi lenti, fino a consumarla e
a succhiarne il succo aspro, onorando ogni tanto la tazzina di caffè
della sua bocca.
Thierry
intanto aveva dimenticato l'ora, e aveva anche dimenticato il suo
caffè, che ormai freddo, ristagnava nella tazzina. Aveva occhi, solo
per quell'insolito cerimoniale di bellezza che gli si offriva
davanti.
Non
c'era più nessuno per il sig. Thierry Dupont, il caffè era gremito
e dei ragazzini facevano un gran vociare al tavolino accanto, ma per
lui erano di colpo scomparsi tutti, il chiasso del caffè, la gente
intorno, la sua ventiquattrore. Restava solo Alina, quella
sconosciuta.
Non
riusciva a distogliere lo sguardo da quella donna, aveva un corpo
magro e tornito, indossava un vestito rosso di una seta leggera quasi
palpabile che le copriva le gambe fino alle ginocchia, e che non
offriva nessuna generosa scollatura alla vista, era casto, eppure in
quella castità Thierry ci aveva visto tanta audacia. Si era perso.
Intanto
la sconosciuta aveva finito il suo limone, e lo aveva poggiato sul
tavolino, ne erano rimasti pochi morsi, ma forse, per Alina bastava
così.
Poi,
nello scorrere di un istante, aveva preso con sé la borsa e le
sigarette, e si era dileguata, lasciandolo così attonito, immobile,
al tavolino di le Rive Droute.
Lei
non si era accorta di lui, non aveva visto quell'uomo così attento
ad ogni suo gesto, seduto a quel tavolino, era presa da altro Alina,
lui, Thierry, era preso solo da lei.
Deluso,
lasciò pochi spiccioli al sig. Martin e passò vicino a quel
tavolino, dove fino a qualche minuto fa era seduta Alina, cercando di
scorgere con lo sguardo, un qualcosa, un particolare, che potesse
portarlo da lei, che potesse permettergli di incontrarla ancora, di
rivederla. Ma non vide niente. Un mozzicone di sigaretta giaceva
solitario sul fondo del posacenere, la tazzina di caffè dove lei
aveva poggiato più volte la sua bella bocca, era come
abbandonata,relitto immobile su quel tavolino, e adagiato sul
sottopiattino della tazzina, quel limone giallo consumato, che fu
tentato di prendere e portarsi via, ma subito la ragione gli suggerì
che sarebbe stato un gesto senza senso, e lo lasciò li, e riprese il
suo incedere fermo ed elegante.
Era
più accigliato di prima, il suo passo era più frettoloso e si
dileguò anche lui lungo il viale.
Thierry
tornò, quasi ogni giorno, alla stessa ora in quel caffè, con quella
stessa speranza, e con un ardore sempre più vivo, alimentato dal
ricordo, dal pensiero di Alina, e aspettò in quel caffè, col suo
solito giornale spiegazzato, ingannando il tempo di quell'attesa
gonfia di ogni speranza, intrattenendo conversazioni distratte. Per
un lungo mese, Thierry sedeva allo stesso tavolino, e oltre a quei
tavolini rigorosamente allineati, alla bicicletta gialla, incontrava
solo la sua rinnovata solitudine, e qualche volta bevendo il suo
caffè, distoglieva lo sguardo, e guardava fisso quel tavolino
vuoto,sperando di figurarsi di li a poco, la donna col limone.
bellissimo racconto! farei volentieri una bella passeggiata sul viale del caffè Le Rive Droute ;)
RispondiEliminaUn racconto che, nonostante indossi una maschera di saggia semplicità, riesce a catturare, a immergere nella lettura: bastano pochi dettagli per incantare il lettore alla figura di Alina, come succede a Thierry. Personaggio, quest’ultimo, con il quale è facile, personalmente, trovare punti d’incontro, rispecchiarsi in alcuni suoi aspetti. Complimenti vivissimi all'autrice.
RispondiEliminaA distanza di molto, ahimè, mi riesce di leggerti. Grazie per i tuoi commenti e per il tuo pensiero.
EliminaTra poco pubblicherò il mio primo romanzo, magari ti verrà voglia di leggermi.
Chiedo scusa per il ritardo. Manu